Spostati Nano di Merda!

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martedì 17 gennaio 2012

LA COLPA DEL PADRE

Lareth era oramai una costante della vita della piccola famiglia. Ormai aveva già visto nascere e morire circa cinque primavere e oramai aiutava la famiglia nei campi che dovevano lavorare. Nulla di pesante, passava le giornate scorrazzando dietro il padre o i fratelli più grandi, dissodando il terreno dai piccoli sassi che riusciva a portare, oppure raccogliendo in strette fascine le sterpaglie che venivano strappate dalla falce. La famiglia si era un po’ ridotta. Sua sorella più grande si era sposata già da tre anni con un uomo di un villaggio vicino e oramai portava i segni inconfondibili di chi ha portato avanti più gravidanze di quelle che avrebbe potuto mantenere con il piccolo podere di proprietà del marito. Non che pativa la fame, ma il suo sguardo era sempre teso e la minestra serale era sempre annacquata. L’unica nota positiva e che i suoi tre bimbi erano sani e tra un poco di tempo qualcuno di loro avrebbe potuto aiutare lei e il marito con il lavoro.

Suo fratello più grande invece era scappato di casa, cacciato via dal padre lo scorso autunno, quando quest’ultimo aveva comunicato alla famiglia del suo desiderio di arruolarsi nella forza ducale. Il padre pensava che quella fosse un’accozzaglia di prepotenti, pronti a vessare le famiglie deboli come la sua, mentre il figlio era irresistibilmente attratto dalla divisa e dal briciolo di potere che portava quel particolare status sociale.

La madre però stava male. Oramai aveva raggiunto e superato le quaranta primavere senza troppi intoppi, fino a quell’inverno. Da li le cose erano degenerate: non aveva portato a termine l’ultima gravidanza e il fato era nato morto dopo un travaglio durato più del solito. Mentre i familiari aspettavano con impazienza la fine di quell’atto, per Lareth la cosa era nuova: stare al freddo, per quasi un giorno intero, ad aspettare di poter entrare per vedere quella che sarebbe stata una creatura fragile e senza alcuna difesa dalle difficoltà della vita. Le emozioni si sovrapponevano in lui. Indubbiamente la curiosità era dominante, ma con qualche accesso di rabbia e frustrazione, dovuta alla sua impazienza e alle urla della madre, che si facevano sempre più alte durante il giorno. Mentre passavano le ore, le comari del paese si davano il cambio per assistere la donna in quel difficile momento, ma ogni volta che passavano per la piccola porta di casa, il loro sguardo era sempre più cupo e non degnavano di una parola la piccola famiglia in attesa.

Alla fine, non appena poterono entrare, la situazione era abbastanza tragica. La madre stava a letto, sconvolta dalla fatica, con gli occhi lucidi e senza alcun sprazzo di vitalità. Il padre capì subito che la situazione era grave, ma purtroppo in casa mancavano i soldi per poter correre da un guaritore che sistemasse la faccenda. Dovevano fare da soli.

Mentre le piccole davano una mano alla famiglia, preparando una cena frugale e occupandosi del piccolo Lareth, il padre con il figlio più grande era occupato a far rinvenire sua moglie, attingendo alla sapienza contadina, che da secoli veniva tramandata nella famiglia.

Dopo ore e ore di cure, dettate da superstizioni e decotti alle erbe, la madre ebbe un sussulto di vita e cominciò a respirare normalmente, ponendo fine a quel terribile ansito che aveva accompagnato il lavoro durante le cure. Purtroppo il parto l’aveva debilitata e da allora non era stata più capace di alzarsi dal letto. Le comari del villaggio dicevano che era una cosa che poteva accadere, soprattutto a madri non più giovani che affrontavano un parto di troppo.

Da quel giorno Lareth dovette lavorare sempre più per la famiglia, per molti anni a venire, dovendo sobbarcarsi di una parte del lavoro fatto finora dalla madre. Questo sicuramente lo indurì, sia fisicamente che psicologicamente. Infatti, se da un lato il troppo lavoro contribuì a formare in lui un fisico possente per un semplice contadino, dall’altro fece sviluppare in lui una certa durezza di cuore, tipica degli orfani e dei malfattori. Come si può biasimare un bambino del genere? Infatti dovette affrontare molte prove durante la sua infanzia, dettata da povertà e da una madre oramai quasi paralizzata a letto, da un padre che cercava di tirare avanti una famiglia sempre più povera e dai fratelli e sorelle che oramai lottavano per un pezzo di pane in più. I prosciutti erano scomparsi dal soffitto della casa, e gli spifferi erano aumentati. Riuscivano a malapena a tappare i buchi del tetto, figuriamoci a riparare le travi. Oramai la casa era cadente, deformata sotto il peso di troppa neve e troppa acqua.

Dopo qualche manciata d’anni – qui la cronologia è piuttosto carente, comunque meno di una decade, la famiglia era praticamente distrutta: le sorelle erano accasate in famiglie troppo povere per poter aiutare il nucleo originale da dove erano venute, tutti i fratelli erano scappati di casa, arruolati chissà dove, o costretti a mendicare, pieni di vergogna, in città lontane, privi della forza necessaria per tornare indietro a sopportare il giudizio del villaggio.

La madre era morta, spenta durante l’ennesimo inverno troppo freddo e il padre, di riflesso, era divenuto un ubriacone, senza la lucidità necessaria a lavorare. I campi erano incolti, e le sterpaglie regnavano sovrane in un appezzamento che una volta poteva essere definito ricco.

In tutta questa desolazione, Lareth era semplicemente magnifico. Il suo fisico statuario lo contraddistingueva dalla miseria in cui si trovava e il suo bel viso era pieno di vita. Di lui però saltava subito all’occhio un piccolo particolare: non sorrideva mai.

Era capace soltanto di una specie di ghigno, che non saliva mai fino agli occhi, rimanendo allo stadio di una smorfia che deformava i suoi lineamenti, fino a renderli quasi lupeschi. Altro particolare non indifferente, che colpiva molti degli abitanti del villaggio, era che in tutta la desolazione della sua famiglia, lui sembrava prosperasse, ed era sempre più forte e bello.

Oramai era quasi evitato dai compaesanei, che all’interno delle loro case discutevano del giovane Lareth, così bello da essere irraggiungibile dai mortali, così strano da essere evitato da quelli con cui un tempo aveva giocato per le strade polverose del villaggio.

Una notte – le cronache narrano che fosse fine autunno, Lareth fece un sogno molto particolare. Questo fatto è noto poiché ho avuto la possibilità di leggere uno spezzone del suo diario, dove veniva raccontata l’esperienza.

Nel sogno, Lareth indossava una tunica nera come il giaietto e si aggirava per le case del villaggio, alla spasmodica ricerca di qualcosa, senza riuscire né a capire di cosa si trattasse, né a trovare quello che supponeva che stesse cercando. Le uniche sensazioni che riusciva a percepire attorno a se erano il buio della notte e l’assenza di vento. Si accorgeva a malapena delle piccole orme che lasciava dietro di se, l’unica cosa che gli importasse era di andare avanti.

Ad un certo punto si imbatté in una figura barcollante, che urlava e scalciava senza sosta, in preda ad una frenesia animale. Tale figura si mise a gridare cose incomprensibili, con una voce di tuono che sicuramente avrebbe svegliato il villaggio. Lareth sentì l’impulso di far tacere quella voce.

Nel sogno saltò addosso all’individuo, cercando di tappargli la bocca, ricevendo in cambio soltanto un morso. Dal suo animo si scatenò una forza, enorme e spropositata. Facendo appello a questa nuova energia, nera viva e gioiosa di essere utilizzata, riuscì a far cadere a terra l’individuo e a tappargli la bocca con un pugno. Questa mossa funzionò molto bene, visto che le grida furono sostituite da un gorgoglio soffocato, mentre pezzi di denti cadevano a terra e la mascella veniva deformata dalla forza che imprimeva Lareth al suo braccio. Lareth continuò a premere con il pugno, deciso a far smettere le grida, mentre il corpo sotto di lui cominciò a sussultare, in preda agli spasmi, mentre le mani dell’individuo cercavano disperatamente un appiglio lungo le muscolose braccia del giovane.

Smise di imprimere forza al braccio non appena il suo avversario cessò di muoversi. La cosa lo rendeva soddisfatto: non era la prima volta che faceva sogni macabri, ma quello era così reale….

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