DENTCH
Sono nato in un villaggio sperduto in mezzo alla foresta nella Grande Valle, a tre giorni di cammino dalle pendici del Goeth. La mia famiglia viveva come le altre famiglie del nostro villaggio, cibandosi di ciò che dava la foresta, cacciagione e frutti selvatici. Avevamo i nostri orti che ci davano tutto quello che il bosco non poteva darci. Era usanza nel nostro gruppo che i ragazzi più svegli o più agili diventassero guardie del villaggio. Per questo motivi all'età di dieci anni i meritevoli venivano allontanati dalle proprie case per andare ad addestrarsi nella foresta, dai nostri Maestri Silenti.
Quelli che avevano una spiccata predilezione per l'isolamento o per le forze della natura, quelli che gioivano nella tormenta e sotto la pioggia venivano mandati dai più saggi e anziani dei maestri. che li istruivano nella arti magiche. Quando questi ritornavano al villaggio erano come trasformati, silenziosi e potenti, spesso accompagnati da lupi o orsi, che sembravano essere loro amici.
Per tutti gli altri si prospettava una carriera meno nobile e istruita: potevano diventare i migliori cacciatori del villaggio, pronti sempre a colpire nell'ombra i nemici che ci assalivano, a darci da mangiare in abbondanza e a vigilare le nostre frontiere. Questi ultimi erano esperti combattenti, avezzi alla vita selvaggia e all'isolamento, il loro stile di combattimento era variegato e cangiante: quelli che erano forti e possenti si gettavano nella mischia con due lame nelle mani, senza altra protezione che una leggera armatura di pelle, pronti a far vorticare le loro lame in un tripudio di colori e vortici di morte. Quelli invece che preferivano una buona vista piuttosto che un braccio forte abbracciavano le molteplici tecniche del tiro da lontano, eccellendo nel tiro con l'arco. I migliori nostri combattenti usavano scendere in battaglia lanciando con un colpo solo fino a quattro frecce. Erano talmente veloci che l'occhio riusciva a fatica a seguire i loro movimenti.
I ragazzi della mia età che furono allontanati dalla famiglia per addestrarsi erano in cinque. Due di loro, tra cui una giovane, del quale ero profondamente innamorato, si allontanarono nel bosco per intraprendere il lungo viaggio che avrebbe insegnato loro le tecniche della magia, il controllo delle bestie e l'amore per la foresta. Degli altri tre, due erano gemelli, miei vicini di casa, con una lunga chioma rossa che li contraddistingueva da tutti gli altri, poiché erano gli unici ad avere i capelli di quel colore. Il terzo ero io.
Noi ci addentrammo nel bosco, per inseguire i nostri maestri, che avrebbero fatto di noi dei potenti guerrieri. Una volta raggiunti, dopo una marcia estenuante di due giorni, cominciò il nostro addestramento a seguire le tracce, a diventare un tutt'uno con la foresta, a lottare a mani nude con lupi e orsi. Spesso lottavamo tra noi, armati solamente di bastoni, pronti ad affrontarci come se ne andasse della nostra stessa vita. Con i nostri maestri imparammo il rispetto per tutto quello che è naturale, per il fuoco e l'acqua, per il vento, la pioggia e la neve.
Ogni tanto ci incontravamo con i nostri due compagni che ci avevano lasciati per differenziare i lori studi. Questi cambiavano man mano che il tempo passava: i loro occhi si facevano sempre più profondi, come due pozzi bui nei quali si riflettono le stelle e parlavano per enigmi e tranelli. Noi eravamo consci dei loro poteri latenti, ma non ci spaventavano: eravamo tutti votati alla protezione del nostro territorio, al bosco e alla natura. L'unica cosa che ci differenziava era il modo in cui esprimevamo la nostra dedizione alla causa.
Il mio rapporto con Evelin procedeva piano piano, complice la distanza che ci separava. Eravamo entrambi innamorati l'uno dell'altro e man mano che crescevamo i nostri sentimenti maturavano e le nostre esigenze crescevano. Spesso lei riusciva a convincere gli uccelli a recapitarmi dei messaggi d'amore, ai quali rispondevo pieno d'ardore e passione.
Almeno due volte l'anno tornavamo a casa, per vedere i nostri parenti e le nostre famiglie crescere e invecchiare. I miei fratelli o erano diventati valenti artigiani o abili cacciatori. Le mie sorelle cominciavano a crescere e a ridere dietro gli uomini, istupidite dai loro muscoli.
All'età di 17 anni, dopo sette lunghi anni di addestramento, la nostra istruzione si poteva considerare completa: eravamo abili, forti e giovani, chi ci poteva fermare?
Tornammo tutti e cinque al villaggio, io e Evelin mano nella mano, pronti a chiedere ai nostri genitori che benedissero la nostra unione. Purtroppo a tre chilometri dal villaggio trovammo delle tracce strane per terra: sembrava che una ventina di persone, pesantemente armate avesse attraversato la foresta, in direzione del nostro villaggio. Dalla forma delle orme e dalla loro profondità pensammo che appartenessero a un gruppo misto di uomini e orchi, una delle tantte bande di briganti e tagliagole che affliggevano la regione.
Corremmo al villaggio, chi a piedi chi a dorso di lupo, ma le tracce non lasciavano dubbi: i briganti erano diretti nelle nostre case. A circa un chilometro dal villaggio sentimmo un forte odore di fumo, di fuoco. Una volta giunti nella radura che ospitava le nostre case scoprimmo la tragedia che ci aveva colpiti: tutte le case bruciate, tutti gli animali scappati, tutti i nostri cari uccisi. Non trovammo nulla di vivo, le nostre famiglie erano distrutte, la nostra cultura a pezzi, i nostri cuori rubati o infranti.
L'odio ci travolse. Decidemmo, nell'impeto della gioventù, di attaccare il gruppo di briganti che aveva tanto osato contro di noi. Seguimmo le loro tracce per tre giorni interi prima di arrivare al loro accampamento, senza mangiare ne bere, spinti solamente dall'odio e dalla vendetta. Li ci fermammo, al di fuori del loro accampamento.
Cercammo di trovare un piano d'azione che potesse darci un piccolo margine di vantaggio. Noi eravamo pochi, ma combattevamo nel nostro bosco, nelle nostre colline, per vendicare la nostra famiglia. Certo, potevamo dirigerci al Goeth, dove avremmo sicuramente ottenuto l'aiuto delle potenti tribù barbare della montagna, oppure potevamo spingerci a sud, dove avremmo trovato gli elfi, nemici giurati degli orchi. Ma questa era una cosa che dovevano fare da soli, dovevamo vendicare le nostre famiglie senza l'aiuto di nessuno, a costo di morire.
Guardai Evelin per quella che poteva essere l'ultima volta: in uno sguardo cercai di concentrare tutto il mie amore per lei, tutto quello che non ero mai riuscito a dirle, tutta la mia passione e la mia promessa di portarla fuori da li, costi quel che costi. Lei mi guardò con la stessa intensità, la mano destra immersa nel folto pelo del suo lupo, che guardava l'orizzonte, conscio del pericolo che stavamo correndo. Anche lui era come noi, un predatore a caccia, pronto a sbranare la preda, a uccidere quelli che avano fatto del male a Evelin, al nostro villaggio.
Io mi appostai in cima a un albero, con il mio fedele arco a portata di mano. Vedevo i miei amici appostarsi nella foresta sottostante, sfoderando spade e pugnali, evocando antichi poteri e nodosi bastoni, digrignando denti e zanne. Al segnale convenuto avrei dovuto uccidere un uomo nell'accampamento, facendoli cadere nel panico.
Visto che era quasi il tramonto, tutti i briganti erano riuniti attorno al fuoco, pronti a mangiare il cibo che ci avevano rubato. Incoccai non una, ma due frecce sul mio arco, pregai gli spiriti di guidare il mio occhio e presi la mira. Decisi di colpire il loro capo, un immondo orco alto più di due metri, il cui fetore arrivava fino a noi. Presi la mira a lungo e quando fui certo che non avrei mai sbagliato scoccai non due, ma quattro frecce in rapida successione, urlando a squarciagola il mio odio per loro.
Per abilità o fortuna tutte le mie frecce colpirono il bersaglio, infilandosi nel petto e nella gola della bestia, che cadde senza vita tra le fiamme del falò.
Subito dopo vidi Evelin lanciare delle sfere infuocate nell'accampamento, colpendo la faccia di due uomini, che si erano alzati con le spade in pugno.
Poi fu il finimondo: colpi su colpi, morsi zanne unghie e denti: il sangue scorreva copioso sulle spade e sui corpi. Dopo un tempo pari all'eternità la lotta giunse a un punto morto: da una parte i banditi, dimezzati dai nostri colpi. Dall'altra noi, rimasti in tre dopo la lotta: io, ancora appostato sull'albero, nascosto alla vista mentre seminavo la mia pioggia di morte, Evelin, bella come il sole e spettinata come un campo di grano, con a fianco il suo lupo, ansante e con il pelo irto. Al suo fianco Janie, un mio carissimo amico, armato di spada e pugnale, con una brutta ferita al braccio.
Dopo un attimo di pausa i banditi ci attaccarono con una furia mai vista, colpendo i miei compagni a terra tutti insieme, da vigliacchi. Ne uccisi tre prima che loro arrivassero all'impatto con la mia Evelin, ma successivamente la mischia era così feroce che non riuscivo a mirare asenza timore di colpire un mio compagno.
La scena si calmò nuovamente. A terra giacevano Janie e Evelin entrambi con il petto irto di lance. Evelin! Evelin! Era morta e mai più sarebbe tornata a sorridermi, mai più mi avrebbe detto ti amo, mai più mi avrebbe sussurrato in un orecchio! Addio ai suoi capelli d'oro, alle sue labbra carnose, al suo sorriso pieno di gioia. Me l'avevano rubata, rapita e distrutta e per questo dovevano pagare, dovevano morire e dovevo farlo io.
Scesi giù dall'albero e con una furia mai vista prima assaltai da solo i tre banditi rimasti, armato solamente della mio scimitarra. Dopo un tempo che mi parve molto breve loro giacevano morti sul campo di battaglia e io giacevo accanto a loro, con un enorme sfregio sulla faccia, che andava dalla tempia destra alla guancia sinistra, sfiorando l'occhio.
Giacqui li per un tempo indefinito, in bilico tra la vita e la morte, quando con la coda dell'occhio notai una figura sullo sfondo. Era il lupo di Evelin, fuggito dal dolore per la perdita della sua compagna, accompagnato da una grande figura ammantata di verde, che si muoveva senza lasciare traccia. Questa mi raccolse senza sforzo e li caddi nell'oblio.
Mi svegliai dopo tre giorni, tra gli elfi. Mi avevano salvato la vita. Grazie al cielo avevano sentito le grida della battaglia ed erano accorsi in nostro aiuto. Dei banditi non uno era sopravvissuto, ma il prezzo pagato era immenso. Del mio villaggio ero sopravvissuto soltanto io e il imo amore, Evelin era morta e non sarebbe mai ritornata.
Gli elfi provvidero a me per un certo periodo, poi quando mi ripresi completamente li salutai e lasciai il loro accampamento, con la lupa della mia amata al mio fianco, mia nuova compagna di avventure, a cui diedi il nome di Evelin. Con lei corsi per boschi e valli e divenni un implacabile cacciatore di banditi, uomini o orchi che fossero, pronto a difendere i villaggi della Valle dai loro soprusi.