La via per la città della magia è ignota e impercorribile per tutti tranne coloro a cui viene raccontata.
A seguire sulla mappa la strada che realmente percorsero in meno di due giorni si rimarrebbe esterrefatti, perché non v'è creatura, sulla terra o nel cielo, che potesse coprire una simile distanza in così breve tempo, usando le proprie gambe o ali.
Per quasi tutto il viaggio, lo gnomo s'era trastullato con un gingillo che padre Soulas gli aveva donato, e taceva. Certo essere accompagnato da quello gnomo nel silenzio dei passi sul sentiero pareva assai strano. Più che strano innaturale.
Xanthia, statuaria nella sua armatura splendente, osservava lo gnomo e, giunti presso l'imbocco del ponte, infine chiosò "armonia".
Lo gnomo le dedicò un placido sorriso. La donna contraccambiò con un'espressione dolce degli occhi.
Kondar spiegò quella sensazione come un normale effetto derivante da antichi artefatti posseduti in tempi antichi dagli antichi dei quando erano sia loro che il mondo stesso già antichi. La sovrabbondanza del termine "antico" nel lungo discorso del nano disturbò non poco l'Eroe, che non perse l'occasione per rinfacciargli una limitata capacità dialettica, ma rese altrettanto bene l'idea di quanto raro potesse essere quell'oggetto. E inestimabile.
Si stupirono tutti a pensare come un oggetto del genere potesse trovarsi in un villaggetto di cui già s'erano scordati il nome, così come già non sapevano dove indicarlo sulla mappa. Anche il ricordo del nome dell'umile sacerdote che li accolse cominciava a scemare: Solias, Salos, Salor. Non ne erano più convinti.
Soltanto due ammennicoli e un'informazione potevano testimoniare il loro passaggio: i due grezzi pendagli al collo di Xanthia e dello gnomo, e la direzione verso Tanimura, la città della magia.
Nella terra dei tre re gemelli, venne indetta una grande festa, perché finalmente erano state trovate tre spose gemelle per i loro re.La penna di pavone scribacchiava rapida e leggera sulla pergamena, guidata dalla magia dell'Eroe e turbata a tratti dallo spirito dello gnomo che più che seguire la narrazione si divertiva a mettere l'Eroe in difficoltà.
Grande fu la contentezza del popolo intero, che decise di accorrere tutta alla capitale.
E i re gemelli nella loro grande saggezza decisero di edificare una nuova via d'accesso, erigendo un maestoso ponte sulle magiche acque che inanellavano la città. Tale ponte fu stimato nella misura di 135 leghe e alla sua estremità fu innalzata una porta di cui si raccontava non esistesse architrave, robusta eppure tanto finemente lavorata che pur un bambino poteva aprirne i battenti.
Siccome tale ponte era unico e di così squisita fattura che non se ne intendeva guastare la bellezza edificandone uno identico, le colline che s'affacciavano sulle magiche acque furono coltivate con alberi da frutto, i cui filari si dipartivano a raggiera verso ogni destinazione entro il regno, cosicché chiunque potesse trovare l'accesso al ponte. Tali alberi erano tutti figli della pianta incantata detta Maes per le sue immense dimensioni e Thio per la sua capacità di rigenerarsi, i cui rami dello spessore di un toro adulto avevano fornito il mattone con cui era stata edificata la torre della capitale.
La festa era prossima al compimento e ogni altro reame aveva già fatto giungere i propri doni per i novelli sposi: acrobati e circensi, dei lignaggi e delle razze più disparate, gli energumeni del nord come i prestidigitatori del sud, riscaldavano di vita le sale del castello e le strade della città; animali di ogni forma e colore, di ogni luogo e di ogni tempo, pascolavano nel vasto giardino che molti chiamavano Mondo, perché in esso vi erano contenuti foreste incantate e prati profumati, tiepidi deserti e infine mari, le cui magiche acque erano state poste a guardia della città.
Le descrizioni della magnificenza della festa divennero molteplici e ci furono persino coloro che si smarrirono a rimirare il Mondo, perdendo ogni cognizione di tempo e spazio, oltre alla festa in sé.
Ma questa era la volontà dei re gemelli: che ognuno trovasse ciò che più lo affascinava e che potesse godere di quelle visioni.
Come il racconto finì, il santo padre si sincerò della salute e delle intenzioni dei cinque membri del pentacolo e subito li congedò, lasciando l'Eroe istruire i suoi compagni sul significato nascosto di quella storiella. Fortunatamente, i quattro godevano pienamente della serenità derivante dalla reliquia.