Spostati Nano di Merda!

Spostati Nano di Merda!

mercoledì 18 gennaio 2012

L’INIZIO

Dove eravamo rimasti? Si, al sogno del giovane Lareth.

Dovete capire, miei signori, che la situazione era molto delicata. Lareth era in una fase della vita molto difficile per un uomo, dove deve decidere che orientamento dare alla sua vita, se seguire la virtù e tutto quello che essa comporta, oppure abbandonarsi alle seduzioni del male, alle sue malie e ai suoi incantamenti. La visione, poiché di visione si parla, era troppo nitido per essere un sogno, mostrava i tormenti dell’anima del giovane, combattuto dal desiderio di rivincita nei confronti della sorte che gli sembrava avversa e dalla voglia di emergere come creatura nuova, completamente emancipata dal padre e dalla sua condizione di intoccabile, vecchio e ubriaco com’era.

Era ovvio, anche alle menti più semplici, che la visione mostrava il combattimento tra Lareth e i suoi dubbi, i suoi problemi. Lui li affrontava così, combattendo per la vita, con una forza che non sapeva di possedere, con un coraggio degno di un grande eroe.

La visione mostrava si una lotta che avveniva allora nella mente del giovane uomo, ma poteva anche mostrare il risultato di tale lotta. Lareth avrebbe trionfato, in un modo o nell’altro. Purtroppo nessuno sapeva ancora in che modo ce l’avrebbe fatta a vincere le sue paure. Magari, se qualcuno di noi fosse venuto a conoscenza in qualche modo del risultato di tale lotta, lo avrebbe fermato e avrebbe distrutto sul nascere uno dei più grandi mali del nostro tempo. Purtroppo non sta a noi giudicare la colpa prima che essa venga compiuta e sappiamo tutti che l’alterazione del passato porta a risultati inaspettati, anche nelle condizioni più semplici. Inoltre voglio proprio vedere chi di noi avrebbe avuto il coraggio di colpire questa creatura, ancora pura e innocente, nonostante la sua vita fosse una rovina e i suoi affetti fossero già persi irreversibilmente.

Non sappiamo in che stato Lareth si sia svegliato la mattina dopo la visione. Purtroppo questa parte della sua vita è avvolta nel più completo mistero, poiché i suoi compaesanei sono già tutti morti da tempo, piegati in modo irreversibile dai limiti della loro razza. Solo Lareth stesso potrebbe rivelarci cosa fece quella mattina e nel periodo immediatamente successivo, ma non credo che il suo spirito dannato sarebbe contento di rivelare la sua debolezza e il suo momento più buio.

Comunque lui ebbe un’epifania: gli fu rivelato il suo destino, si sarebbe emancipato dalla sua situazione. Quello che probabilmente non capiva era come avrebbe potuto rinascere a vita nuova, completarsi e divenire il vero artefice di se stesso. Le ultime notizie che si hanno di lui e che fu venduto da un mercante di schiavi nella capitale. Quello che possiamo dedurre è che il suo villaggio fu razziato, oppure che in qualche modo reso schiavo.

Il suo aspetto veniva subito notato, poiché la sua bellezza era straordinaria per la sua razza, come se gli dei avessero benedetto la sua nascita, anche se la sua infanzia faceva pensare il contrario. Fu comprato da un altro mercante, noto a noi per i suoi intrallazzi con alcuni culti cabalistici e malvagi. Conserviamo gli atti di vendita del giovane Lareth e da quello che possiamo notare, fu venduto a caro prezzo.

Anche qui si perdono le sue tracce, anche se lo si notò nella zona di Hommlet, circa sei mesi dopo la sua vendita. Indossava vesti nuove, di cangianti colori, bordate d’ocra. La locandiera ci confessò, sotto l’azione di magie che riportano i ricordi in superficie, dall’oblio del dimenticatoio, che pagò tutto in oro, e che le sue mani erano costellate di anelli e bracciali, a dimostrare il nuovo stato sociale. Inoltre sappiamo che aveva un grosso seguito, composto per lo più da loschi figuri, ammantati d’ocra anch’essi, che portavano appresso molti asini caricati pesantemente con casse, segnate da un sigillo strano, composto dalla runa Y, rovesciata in un triangolo. Tale simbolo, destinato ad essere riconosciuto in tutto il ducato, era ancora sconosciuto ai più e il paese non era così importante per vedervi insidiato un mago o un religioso di grande potere, che sarebbe stato capace di riconoscere il pericolo.

La sua venuta a Hommlet destò grande interesse, poiché la piccola cittadina non aveva mai visto un seguito così grande ad una sola persona. Inoltre nessuno capiva dove si sarebbe diretto. Infatti lui veniva dalla capitale, e portava vettovaglie e attrezzature per vivere mesi, se non anni, in qualche luogo oltre Hommlet. Quello che la gente non capiva era dove mai potesse andare. Oltre il paese non c’era nulla di importante, se non le terre selvagge, puntellate a macchia di leopardo di piccoli insediamenti di taglialegna o banditi, che rendevano la zona molto pericolosa. Si parlava inoltre di pirati dei fiumi, che per fortuna non osavano spingersi fino alla cittadina, poiché essa era protetta dalla nuova torre di guardia e da una serie di cataratte che rendevano la navigazione impossibile da un certo punto in avanti.

Comunque le supposizioni dei paesani mai avrebbero potuto immaginare il male che avrebbe fatto.

Come comparve nella città, così sparì. Di lui non si seppe nulla per vari anni, fino a che alcuni mistici eventi non posero l’attenzione delle forze del bene in quella ragione. Allora i popolani, persuasi dai paladini inviati in zona, iniziarono a ricordare di quella strana spedizione, che pareva essersi persa nel nulla. Da anni oramai era entrata nella leggenda e i locali l’avevano riempita di particolari stravaganti e aneddoti poco realistici. I nostri paladini riuscirono a scoprire la verità in mezzo al folklore, e si misero alla ricerca di questa spedizione, per capire dove un numero così vasto di individui e mezzi fosse andato, facendo inoltre perdere le tracce di se per così tanti anni.

Da quello che potremmo supporre, Lareth diventò in quel periodo una persona di grande potere, accumulando in se ricchezze e segreti. Era diventato, ma questo lo scoprimmo dopo, uno dei fautori del Tempio, comandante di una guarnigione segreta di orchi e gnoll vicino a Hommlet, responsabile di molte razzie nei confronti delle campagne circostanti.

Il resto è storia, il tempio fu sconfitto in una battaglia oramai entrata nella leggenda, Lareth fu ucciso dal nostro campione, che nella lotta gli impresse una cicatrice sul volto, deturpandolo per sempre, il Tempio fu sradicato dalle fondamenta.

Da quello che ora sappiamo, qualcosa di nuovo e malvagio si aggira oggi nella regione, ponendo le basi su quello che fu il Tempio. Qualcuno dice che sta risorgendo, mentre altri pensano che sotto c’è un orrore ancora maggiore. L’unica cosa certa e che lo spirito di Lareth è stato richiamato, e sicuramente vorrà vendicare la sua sconfitta.

Ho paura che anche se abbiamo vinto la battaglia tanti anni fa, la guerra è ancora in atto e la nostra vittoria è tutt’altro che scontata.

Così parlò Ioreth, Saggio del Circolo. Fate tesoro delle mie parole, perché capire il nemico è il primo passo che porta alla sua redenzione, che essa avvenga con le parole o la spada. Le anime immortali mi siano testimoni che Lareth il Bello è salvabile, ma esso prima deve essere fermato.

Andate.

martedì 17 gennaio 2012

LA COLPA DEL PADRE

Lareth era oramai una costante della vita della piccola famiglia. Ormai aveva già visto nascere e morire circa cinque primavere e oramai aiutava la famiglia nei campi che dovevano lavorare. Nulla di pesante, passava le giornate scorrazzando dietro il padre o i fratelli più grandi, dissodando il terreno dai piccoli sassi che riusciva a portare, oppure raccogliendo in strette fascine le sterpaglie che venivano strappate dalla falce. La famiglia si era un po’ ridotta. Sua sorella più grande si era sposata già da tre anni con un uomo di un villaggio vicino e oramai portava i segni inconfondibili di chi ha portato avanti più gravidanze di quelle che avrebbe potuto mantenere con il piccolo podere di proprietà del marito. Non che pativa la fame, ma il suo sguardo era sempre teso e la minestra serale era sempre annacquata. L’unica nota positiva e che i suoi tre bimbi erano sani e tra un poco di tempo qualcuno di loro avrebbe potuto aiutare lei e il marito con il lavoro.

Suo fratello più grande invece era scappato di casa, cacciato via dal padre lo scorso autunno, quando quest’ultimo aveva comunicato alla famiglia del suo desiderio di arruolarsi nella forza ducale. Il padre pensava che quella fosse un’accozzaglia di prepotenti, pronti a vessare le famiglie deboli come la sua, mentre il figlio era irresistibilmente attratto dalla divisa e dal briciolo di potere che portava quel particolare status sociale.

La madre però stava male. Oramai aveva raggiunto e superato le quaranta primavere senza troppi intoppi, fino a quell’inverno. Da li le cose erano degenerate: non aveva portato a termine l’ultima gravidanza e il fato era nato morto dopo un travaglio durato più del solito. Mentre i familiari aspettavano con impazienza la fine di quell’atto, per Lareth la cosa era nuova: stare al freddo, per quasi un giorno intero, ad aspettare di poter entrare per vedere quella che sarebbe stata una creatura fragile e senza alcuna difesa dalle difficoltà della vita. Le emozioni si sovrapponevano in lui. Indubbiamente la curiosità era dominante, ma con qualche accesso di rabbia e frustrazione, dovuta alla sua impazienza e alle urla della madre, che si facevano sempre più alte durante il giorno. Mentre passavano le ore, le comari del paese si davano il cambio per assistere la donna in quel difficile momento, ma ogni volta che passavano per la piccola porta di casa, il loro sguardo era sempre più cupo e non degnavano di una parola la piccola famiglia in attesa.

Alla fine, non appena poterono entrare, la situazione era abbastanza tragica. La madre stava a letto, sconvolta dalla fatica, con gli occhi lucidi e senza alcun sprazzo di vitalità. Il padre capì subito che la situazione era grave, ma purtroppo in casa mancavano i soldi per poter correre da un guaritore che sistemasse la faccenda. Dovevano fare da soli.

Mentre le piccole davano una mano alla famiglia, preparando una cena frugale e occupandosi del piccolo Lareth, il padre con il figlio più grande era occupato a far rinvenire sua moglie, attingendo alla sapienza contadina, che da secoli veniva tramandata nella famiglia.

Dopo ore e ore di cure, dettate da superstizioni e decotti alle erbe, la madre ebbe un sussulto di vita e cominciò a respirare normalmente, ponendo fine a quel terribile ansito che aveva accompagnato il lavoro durante le cure. Purtroppo il parto l’aveva debilitata e da allora non era stata più capace di alzarsi dal letto. Le comari del villaggio dicevano che era una cosa che poteva accadere, soprattutto a madri non più giovani che affrontavano un parto di troppo.

Da quel giorno Lareth dovette lavorare sempre più per la famiglia, per molti anni a venire, dovendo sobbarcarsi di una parte del lavoro fatto finora dalla madre. Questo sicuramente lo indurì, sia fisicamente che psicologicamente. Infatti, se da un lato il troppo lavoro contribuì a formare in lui un fisico possente per un semplice contadino, dall’altro fece sviluppare in lui una certa durezza di cuore, tipica degli orfani e dei malfattori. Come si può biasimare un bambino del genere? Infatti dovette affrontare molte prove durante la sua infanzia, dettata da povertà e da una madre oramai quasi paralizzata a letto, da un padre che cercava di tirare avanti una famiglia sempre più povera e dai fratelli e sorelle che oramai lottavano per un pezzo di pane in più. I prosciutti erano scomparsi dal soffitto della casa, e gli spifferi erano aumentati. Riuscivano a malapena a tappare i buchi del tetto, figuriamoci a riparare le travi. Oramai la casa era cadente, deformata sotto il peso di troppa neve e troppa acqua.

Dopo qualche manciata d’anni – qui la cronologia è piuttosto carente, comunque meno di una decade, la famiglia era praticamente distrutta: le sorelle erano accasate in famiglie troppo povere per poter aiutare il nucleo originale da dove erano venute, tutti i fratelli erano scappati di casa, arruolati chissà dove, o costretti a mendicare, pieni di vergogna, in città lontane, privi della forza necessaria per tornare indietro a sopportare il giudizio del villaggio.

La madre era morta, spenta durante l’ennesimo inverno troppo freddo e il padre, di riflesso, era divenuto un ubriacone, senza la lucidità necessaria a lavorare. I campi erano incolti, e le sterpaglie regnavano sovrane in un appezzamento che una volta poteva essere definito ricco.

In tutta questa desolazione, Lareth era semplicemente magnifico. Il suo fisico statuario lo contraddistingueva dalla miseria in cui si trovava e il suo bel viso era pieno di vita. Di lui però saltava subito all’occhio un piccolo particolare: non sorrideva mai.

Era capace soltanto di una specie di ghigno, che non saliva mai fino agli occhi, rimanendo allo stadio di una smorfia che deformava i suoi lineamenti, fino a renderli quasi lupeschi. Altro particolare non indifferente, che colpiva molti degli abitanti del villaggio, era che in tutta la desolazione della sua famiglia, lui sembrava prosperasse, ed era sempre più forte e bello.

Oramai era quasi evitato dai compaesanei, che all’interno delle loro case discutevano del giovane Lareth, così bello da essere irraggiungibile dai mortali, così strano da essere evitato da quelli con cui un tempo aveva giocato per le strade polverose del villaggio.

Una notte – le cronache narrano che fosse fine autunno, Lareth fece un sogno molto particolare. Questo fatto è noto poiché ho avuto la possibilità di leggere uno spezzone del suo diario, dove veniva raccontata l’esperienza.

Nel sogno, Lareth indossava una tunica nera come il giaietto e si aggirava per le case del villaggio, alla spasmodica ricerca di qualcosa, senza riuscire né a capire di cosa si trattasse, né a trovare quello che supponeva che stesse cercando. Le uniche sensazioni che riusciva a percepire attorno a se erano il buio della notte e l’assenza di vento. Si accorgeva a malapena delle piccole orme che lasciava dietro di se, l’unica cosa che gli importasse era di andare avanti.

Ad un certo punto si imbatté in una figura barcollante, che urlava e scalciava senza sosta, in preda ad una frenesia animale. Tale figura si mise a gridare cose incomprensibili, con una voce di tuono che sicuramente avrebbe svegliato il villaggio. Lareth sentì l’impulso di far tacere quella voce.

Nel sogno saltò addosso all’individuo, cercando di tappargli la bocca, ricevendo in cambio soltanto un morso. Dal suo animo si scatenò una forza, enorme e spropositata. Facendo appello a questa nuova energia, nera viva e gioiosa di essere utilizzata, riuscì a far cadere a terra l’individuo e a tappargli la bocca con un pugno. Questa mossa funzionò molto bene, visto che le grida furono sostituite da un gorgoglio soffocato, mentre pezzi di denti cadevano a terra e la mascella veniva deformata dalla forza che imprimeva Lareth al suo braccio. Lareth continuò a premere con il pugno, deciso a far smettere le grida, mentre il corpo sotto di lui cominciò a sussultare, in preda agli spasmi, mentre le mani dell’individuo cercavano disperatamente un appiglio lungo le muscolose braccia del giovane.

Smise di imprimere forza al braccio non appena il suo avversario cessò di muoversi. La cosa lo rendeva soddisfatto: non era la prima volta che faceva sogni macabri, ma quello era così reale….

LA CARTA BRUCIA MEGLIO ALL’INFERNO

Le leggende narrano della nascita del primo Tempio e dell’ascesa del Male Elementare su questa terra. Si narra anche di come un gruppo di avventurieri ha sconfitto le forza del male, portando al mondo pace e tranquillità, con la speranza che i malvagi non osassero più ripetere questo misfatto, non osassero più risvegliare quegli antichi poteri.

Nessuno narra però di come questi poteri hanno avuto la possibilità di nascere, nessuno ha preso il compito di cercare tra antichi testi e mistici misteri la figura, l’uomo che è stato capace di risvegliare l’antico culto, pronto a risvegliare la propria distruzione.

Questo compito mi è stato affidato, e quindi devo portarlo a compimento. Non è stato piacevole cercare tra antichi testi e cabale mistiche, spesso nascoste in biblioteche così vecchie e malvagie da farmi pensare che non ci fosse via d’uscita per me e per la mia cerca. Ma alla fine sono riuscito a portare a termine il mio compito, sono riuscito a descrivere che razza di uomo è stato capace di portare il male in questa regione, sono stato capace di scoprire il vero volto dello spettro che si aggira per Nulb.

Molti di voi si sono aggirati per quei luoghi, con spirito di avventura, per il puro gusto di fare una bravata. Qualcuno di voi ha avuto la fortuna di vedere lo spirito di questa anima inquieta aggirarsi per la città, adempiendo ad antichi compiti che gli erano stati assegnati. Qualcuno di voi è riuscito a tornare indietro a raccontare questa avventura, perché non è stato visto dallo spettro. Si narra che coloro che l’hanno visto negli occhi non sono più tornati indietro.

Vi parlerò quindi di Lareth il Bello e della sua ascesa nel culto.

Lareth il Bello era proprio così: bello. Fin da bambino si distingueva dai suoi coetanei per la sua incredibile bellezza, tanto che poteva essere scambiato per uno di nobili origini. Nacque come molti di voi in casa, mentre sua madre veniva aiutata dalla lavatrice del villaggio, la vecchia più brutta e sterile dell’intera regione. Suo padre e i suoi fratelli aspettavano fuori, più infastiditi dalla pioggia che sorpresi dall’evento. I parti erano all’ordine del giorno in quel villaggio di contadini, dove l’unica fonte di sostentamento era appunto la terra. Questo fatto, unito all’alto tasso di mortalità, portava le famiglie a procreare come dei conigli.

Quindi Lareth nacque nell’indifferenza, mentre fuori pioveva e i campi erano brulli e spogli a causa dell’inverno. Non appena la levatrice uscì fuori dalla casupola nella quale viveva la sua famiglia per andare a bruciare le pezze e gli avanzi del parto, assieme ad erbe aromatiche e simboli arcani, per propiziare la nascita, la sua famiglia entrò a guardare per la prima volta il nuovo arrivato, per vedere com’era e iniziare a fare delle previsioni sul suo futuro.

Da quello che so, il padre non era convinto che il piccolo avrebbe superato l’inverno, visto che la madre era ormai anziana e gli ultimi due parti erano finiti in modo tragico. Purtroppo i piccoli che erano nati prima di lui non avevano visto la primavera, uccisi da quelle malattie che colpiscono i più deboli durante l’inverno. Anche la madre ne era uscita molto provata. Per questo motivo nutriva seri dubbi sul futuro del piccolo. I fratelli invece non erano così cinici, ed entrarono spinti dalla curiosità. Le sorelle pensavano che prima o poi sarebbe toccato anche a loro partorire in una catapecchia, assistiti solamente da una vecchia, mentre fuori il loro marito avrebbe aspettato in ansia, magari anche ubriaco. Infatti la primogenita di quella famiglia era quasi in età da marito, avendo appena compiuto i tredici anni, ed essendo già donna nel corpo da un po’ di tempo. Le più piccole fantasticavano ancora su principi, eroi e condottieri, che le avrebbero rapite al calar del sole, per sposarle e condurle verso una vita d’agi e ricchezze, piena d’amore.

La stanza era buia e l’aria era soffocante, piena di quell’odore che contraddistingue le case di contadini. Alcuni prosciutti facevano bella mostra di se in alto, legati alle travi del soffitto, mentre delle piccole scaffalature sulla parete est ospitavano alcuni vasi di terracotta contenenti miele selvatico e cipolle sotto aceto. Accanto al camino – una piccola struttura di pietra, senza grosse pretese, era posizionato un piccolo barile, contenente delle mele raccolte nel bosco vicino. Dei pagliericci erano posti dall’altro lato della stanza, per minimizzare il rischio d’incendio, mentre una scala stava mestamente appoggiata a terra, unico segnale dell’esistenza di un soppalco, dove probabilmente era posto il letto matronale. Tutto sommato non era una brutta casa, solamente era proporzionata al reddito della famiglia di Lareth. Piccola, soffocante, ma tutto sommato accogliente e abbastanza ben tenuta, se non si considerava il soffitto imbarcato e un paio di travi marce.

La madre di Lareth era posta sui pagliericci del pianterreno, esausta e arrossata in viso, con la vestaglia sudata e tirata su fino alle ginocchia. Teneva il bimbo al seno e non sembrava turbata o preoccupata per la sorte dell’ultimo nato.

Da quello che sappiamo Lareth nacque con una folta chioma bionda, che si arricciava sulla sua piccola testa, facendo quasi un cuscino per la notte. I suoi occhi erano chiusi, e poppava con energia il suo primo pasto. Era più grande della norma e, almeno ad una prima occhiata, era pieno d’energia. Mentre poppava agitava un pugno, a rimarcare la sua presenza nel mondo.

Il padre poteva ritenersi soddisfatto. Forse il piccolo sarebbe sopravvissuto.

mercoledì 11 gennaio 2012

Tutto ciò che è...

1 di 3

Perfetto. Sono entrato in contatto con i miei soggetti. E’ stato più facile del previsto, uno dei paladini mi ha nominato guida del gruppo, la cosa non può che portarmi dei vantaggi, sia economici, sia per la mia missione.

In questi giorni ho capito che Hommlet è piena di spie, pronte a fornire indicazioni al tempio dei movimenti degli avventurieri di passaggio. Anche se sono passati 15 anni dalla caduta del culto, ormai siamo più forti che mai e possiamo aspirare a prendere il controllo della regione. Finalmente il culto è pronto a risorgere!

I miei compagni sono particolarmente strani. Tra le fila annoveriamo 2 paladini, uno dei quali è piuttosto esotico. Sembra essere più piccolo dell’altro e sicuramente meno potente in forza fisica, anche se sembra il “mistico” della coppia, molto attento alle preghiere e alle riflessioni verso quel smidollato di Heironeous. Mi si è presentato come Frederic e non stento a credere che si chiami così, visto la sua professione.

Il secondo paladino è un robusto umano, che impugna un’arma molto grande e sproporzionata per le sue dimensioni. Alto, enorme e scorbutico: è un paladino atipico, molto meno preso dal culto rispetto il suo compagno. Dispensa oro come fossero noccioline, ma devo stare attento. Anche se non sembra intelligente, sono sicuro che è molto forte, e può portare scompiglio nei miei piani. Il fatto che 2 paladini siano aggregati alla mia compagnia mi rende il lavoro difficile, devo stare attento a mascherare le mie intenzioni. Il secondo si chiama Thor.

Il quarto compagno è una piccola Halfling, svelta e di verde vestito. E’ molto sfuggente, cambia nome in continuazione e sembra che stia sbrigando delle commissioni per conto di un mago, è venuta in questa zona per prendere delle erbe per il suo committente. Ci è stata presentata come Cora, anche se l’ho sentita distentamente presentarsi alla locanda come Eugenia. Sembra molto furtiva e l’ho vista nascondersi in tutta fretta durante i combattimenti che abbiamo affrontato nella giornata.

Il quinto elemento ci è stato presentato con Cora e purtroppo per me è un’Elfa Oscura. Oltre a badare a tutti i problemi che mi possono creare i paladini, devo stare attento che non mi pugnali la notte. E una figura pericolosa nel suo, da eliminare al più presto. Sarà per me un piacere vederla arrancare nel tempio, fino allo sfinimento…

Purtroppo la situazione è precipitata. Sono stato costretto ad avvicinarmi all’avamposto del tempio, cosa che non volevo, poiché le informazioni che avevo mi dicevano che nella vecchia fortezza stava nascendo un piccolo culto e che questo aveva bisogno di tempo prima di essere autosufficiente e poter rivelarsi in tutto il suo potere. Sono riuscito ad avvertire i chierici con un incantesimo, ma ho lasciato loro solo pochissime ore di preavviso.

Appena arrivati alla fortezza ho visto 2 adepti del tempio uccisi davanti all’ingresso. Qui c’è qualcosa che non va. Faccio per avvicinarmi al portone principale delle rovine che veniamo attaccati da un enorme drago blu, che sbuffa piccole scintille dalle narici. Il drago non sapeva di bloccare l’ingresso al tempio, o almeno credo. Comunque era un ostacolo che doveva essere eliminato.

La lotta fu lunga, anche se la cosa si risolse a nostro favore… il drago per poco non uccideva l’elfa, ma purtroppo i paladini sono riusciti a guarirla e a salvarle la vita. Durante il duello sono riuscito a nascondermi e a evitare lo scontro, ma comunque ho aiutato i paladini a fare il lavoro sporco… non sono uno di quei maghi che si divertono a manipolare l’energia, preferisco manipolare le coscienze e agire alle spalle, mi è molto più familiare…

I miei compagni hanno pensato di continuare a esplorare la fortezza, nonostante il mio parere contrario. Allora mi sono infuriato, non solo andavano a curiosare dove non dovrebbero, ma anche vanno contro la mia figura di guida. Sono stato assunto per guidarli alla ricerca di persone scomparse, e loro vanno a ficcare il naso nella vecchia fortezza! Probabilmente le persone scomparse sono state uccise dai sicari del tempio, ma potevo benissimo allontanarli dalla vera pista e portarli fuori regione, visto che conosco molto bene la zona…

Decisi quindi di scomparire e con un piccolo incantesimo divenni invisibile ai loro occhi. Mentre li osservavo feci scappare i loro cavalli, così sarebbero tornati a piedi. Per fortuna non videro l’ingresso segreto, almeno quello è stato nascosto bene…

Per fortuna avevo un piano di riserva: avvertire i chierici. Loro avrebbero organizzato sicuramente qualcosa per accogliere degnamente i miei “amici”…

Lode al Tempio risorto!

2 di 3

Come raccontare al mondo quello che mi è successo? Come narrare che ho visto la speranza negli occhi della divinità, pronta a perdonare e concedere a me, umile elfo delle foreste una possibilità di redenzione in questo mondo dove il male è di casa? Non lo so, ma forse la cosa migliore da fare è narrare quello che si prova, per avvertire i malvagi e quelli che camminano su sentieri oscuri che esiste la speranza.

Innanzitutto buio. Tremendo, rumoroso buio, capace di portare anche al cuore più nero un senso di abbandono e solitudine, quasi come una prigione mentale, piena di mostri della mente, pronti a divorare tutto quello che resta della tua umanità. Se questa è veramente la morte, se questo è il vuoto che tante culture venerano con paura e timore, devo dire che è malvagio, molesto ed osceno.

Poi, quasi a comando, la luce. Prima una piccola fiammella, che cresce, divorando le tenebre e le aberrazioni nascoste nella notte. Gordo lo Spietato, Anuk il Forte e tutti i demoni che abitano le tenebre ne scappano, rifuggono quella fiamma, che pian piano cresco, fino ad assumere orgogliosa il rango di luce. Calda, solare, piena di vita. Pronta a fare quello per cui è stata pensata. Illuminare.

Ma illuminare cosa? Le tenebre non hanno forma, non hanno sostanza. I miei occhi non possono concepire che ci sia qualcosa nelle tenebre. Ma io ci sono. E se esiste la luce, e io posso vederla, vuol dire che esistono almeno altri 2 elementi imprescindibili della realtà. Lo spazio e il colore. Non esiste più il nero, quel colore pieno di colpe e vergogne, dove gli atroci delitti vengono compiuti, ma esiste il colore della fiamma, la sua vitalità e lo spazio che essa illumina. Oltre a quello niente. Il buio e i demoni.

L’assenza di rumori è la cosa che colpisce di più, quasi offende i sensi, dona e obbliga a piegare la testa in avanti, a rannicchiarsi e piangere, su quello che si è, su quello che si ha fatto in vita e su quello che si ha lasciato dai vivi.

Ma questo cos’è? E’ duro, pieno, consistente. Lo tasto con i piedi, con quella curiosità che mi distingue dalle tenebre che mi circondano. Credo sia il suolo. Quindi la terra esiste, e anche il fuoco. Per forza devono esistere anche i loro opposti, che li rafforzano e li distruggono, in un vortice che noi chiamiamo eternità. Improvvisamente mi viene sete. Il solo pensiero dell’acqua mi fa piegare sulle ginocchia, in preda ad atroci crampi allo stomaco. BERE!

La fiamma si muove del mio dolore, cerca di liberarsi dal supporto etereo che la sorregge.

Si muove, lasciandomi nelle tenebre e nella vergogna. Si sposta per un po’, indecisa su dove andare, come una formica di fronte a troppo cibo, come un coniglio, braccato da un branco di lupi. Essa di sposta, viaggia e vola, attraverso la tenebre, mostrando aberrazioni che i miei occhi non possono sopportare, e che non posso descrivere. La vergogna cade su di me e su quello che vedo, lasciandomi sporco e sudicio, pieno di rimorso e rimpianto su quello che ho fatto. Perché mi sono convertito al Tempio? Perché ho seguito la Triade? Perché ho combattuto i miei compagni, tradendo e nascondendo la verità ai loro occhi? Tutto quello che ho fatto aveva un secondo fine, ero pieno di invidia ed accidia nei confronti di quelli che almeno mi proteggevano. Sono sicuro che qualcuno mi ha anche rispettato in quella vita. Anzi nella Vita. Questa di adesso non è vita, è un cupo esistere che ti porta avanti nell’eterno, o almeno fino a quando la luce non svanisce. Senza la luce i demoni possono ritornare, e sento il loro affanno e la loro fame dentro di me. La loro superbia e il loro desiderio di divorare anime non ha mai pace, sono deformi creature che si aggirano nelle tenebre e nell’ombra, pronte ad accrescere il loro potere a discapito degli altri, di noi poveri esseri viventi, che sono stati catturati dall’ombra. Noi siamo i veri dannati, non possiamo far nulla se non piangere sulla nostra esistenza, con il desiderio e il sogno di morire veramente, il prima possibile, prima che la follia ci renda schiavi di questa esistenza, prima che noi stessi non diventiamo demoni, ombre o spettri dannati.

Dov’è la luce? Dove è finita la mia unica fonte di ragione?

Dopo pochi attimi la vedo, in lontananza, quasi al limite del mio campo visivo. Essa illumina una fonte, pronta a soddisfare il mio desiderio d’acqua. Essa è grande quanto un uomo, e può contenere benissimo un adulto, consentendolo di immergersi completamente.

Mi avvicino.

La fonte è grande, bella, piena di un’acqua strana, luminescente e con una strana luce propria, come se la luminosa essenza di qualche fata abbia deciso di alloggiare in questo posto, come se il destino avesse voluto che quest’acqua assolvesse uno speciale compito.

Per la prima volta riesco a vedermi. Sono lercio, pieno di tagli, sporco e vestito di stracci. Ma la cosa non mi preoccupa, perché non c’è nessuno. Però vedo altro. Mi vedo traslucido, pieno di un’energia che lotta per mantenermi in piedi, vivo e cosciente. Si dipana dal mio cervello e dal mio cuore, per arrivare fino alla punta dei miei capelli. Mi vedo dentro, come quegli strani pesci trasparenti che vivono gli abissi del mare. Lo spettacolo che mi si para davanti è straordinario e inquietante. La mia luce è piena di buio, di luminescenze oscure che di librano dentro di me, con forme tentacolari. Riesco a vedere questo cancro che con forza e coraggio cerca di uscire e prendere possesso di me. Tutte le mie bugie, i miei delitti e i miei misfatti hanno lasciato una tacca dentro di me, che pian piano ha preso la forma di questo mostro tentacolare, senza forma e senza età, lurida escrescenza di quel male che tiene il mondo prigioniero.

Deve essere eliminata.

Ma come posso eliminare questo male? La domanda, una volta formulata, trova risposta immediata. E’ logico, solo dentro la fonte il mio male può essere curato, solo dentro l’acqua posso trovare pulizia e pace.

Mi immergo.

Dolore. Un dolore atroce mi pervade. L’acqua gelida penetra dentro di me, mi attraversa come una tempesta di neve, piena di atroce dolore, di freddo, di bianco. Chiudo gli occhi e grido. Finalmente, dopo un tempo pari all’eternità scopro l’esistenza dei suoni, allora questo posto è reale.

Mi sveglio di soprassalto dal mio grido e guardo. Il mio corpo è nuovamente consistente, pieno di vita e senza colori neri. Le mie vesti luride si sono dissolte e posso alzarmi dal bacile, nudo e senza vergogna. Il mio corpo glabro non percepisce freddo, ma solo l’acqua che gocciola piano piano, formando una pozza attorno a me. L’acqua è tornata opalescente e luminosa, evidentemente soddisfatta del suo operato.

All’improvviso il fuoco, che mi è sempre rimasto accanto, esplode, in un tripudio di luce e colore. Forma un anello sopra la mia testa, e si allarga all’infinito, allontanando e distruggendo i demoni della notte, che fuggono gridando il loro dolore, l’unica sensazione che non hanno mai provato. Il fuoco si allarga pian piano, mostrando quello che prima mi era nascosto. Una sala di vaste proporzioni si mostra attorno a me. Di forma ottagonale, presenta su sette lati delle gradinate di marmo bianco, composte da sette file di sedie, che mi circondano e all’improvviso si riempiono di creature luminose, piene di luce e di beatitudine. L’ottavo lato è vuoto, tranne per uno scranno ciclopico, enorme, apparentemente vuoto.

Inizio a pensare che il mio corpo è nudo, e provo vergogna. Appena il mio pensiero esce dalla mia mente, una forte bufera di neve mi investe, senza provocare in me la minima sensazione di freddo. Anzi, è calda e piacevole, mi avvolge come le ali di un cigno, dandomi riparo e protezione. Per un attimo i miei occhi sono velati, e non vedo quello che accade attorno a me. Non appena li apro, mi scopro vestito di candide vesti, nuove e immacolate. La seconda cosa che vedo è che lo scranno si è riempito, per contenere lui, il Potente.

La vista mi si abbassa, calano gli occhi fino a terra, dove mi accascio prono, pieno di timore e pianto.

Sommo, perché piango?

Non lo immagini?

Il mio corpo? Sono morto? Perché provo dolore alla tua vista? Perché la fonte, perché?

Pensa.

Le mie colpe sono responsabili del mio dolore?

Le tue colpe sono dolore, ma sono gioia, responsabili delle tua redenzione. Senza le tue colpe tu non saresti qui al mio cospetto, senza le tue colpe non potresti parlare con me, senza le tue colpe non potresti andare avanti.

Dove?

Indietro, verso quelli che ti sono stati vicino.

Perché mi vorrebbero indietro?

I miei seguaci sono disposti al perdono. Loro stessi sono maturati in tua assenza, qualcuno mi ha visto addirittura, ha contemplato la mia saggezza, il mio potere, il mio dominio. Ti accetteranno se tu sarai con loro sincero, a cominciare dal tuo nome.

Il mio nome? Cosa centra?

I nomi sono potenti, sono l’essenza stessa dell’essere. Senza nome non esisti, senza nome non sei nessuno. Falsi nomi e identità ambigue sono fonte di inganno, di male. Tu hai visto la forma del male, come ti corrode dentro, ti rende schiavo delle sue malie, ti rende incapace di essere indipendente. Ti condiziona, portandoti al Vuoto e alla follia. Hai avuto un assaggio di quello che ti avrebbe atteso alla fine dei giorni, adesso hai la possibilità di prendere parte alle mie schiere. In cambio voglio da te sono una cosa.

Cosa?

Torna indietro, rimedia al male che hai fatto e vivi secondo giustizia. Non ti chiedo di essermi devoto, ma di sostenere coloro che hai intralciato e distruggere il male che hai creato e che imperversa sulle terre. La Triade non può vincere, il Male non può dominare e gli dei non possono intervenire. Dovete gestire voi il mondo, dovete far luce nelle tenebre, nella notte dell’anima, e portare giustizia. Ora va, e non tornare fino al compimento della tua missione. Tieni le vesti e rendi la tua esperienza pubblica. Parla con i miei seguaci, i miei servitori e se vuoi con i loro amici, i tuoi amici. Ti supporteranno e ti aiuteranno nel momento in cui vacillerai. Sei pronto?

Andiamo.

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Ad un certo punto Irja si riscosse. Non dico che non fosse stata con noi, solo che il suo sguardo era assente, voltato verso mondi che noi non potevamo capire ne fare nostri, verso dimensioni della realtà che a noi possono sembrare esotiche e grottesche. Quello che disse non ci stupì: DOBBIAMO SEGUIRLO.

Con grazia e naturalezza si spogliò, rimanendo solamente con una grezza maglia di cotone a coprire la sua nudità, e si immerse nella fredda acqua che riempiva la pozza. Dopo pochi attimi che a noi son sembrate ore, lo corda con cui era assicurata, nel caso succedesse qualcosa di malvagio tornò da noi, visibilmente vuota.

Con impeto quasi animalesco Thor si tuffò in acqua, per recuperare l’amica. Io e Cora, dopo un attimo di esitazione – siamo entrambi deboli, non propensi a nuotare, ci tuffammo.

Il nero dell’acqua ci riempì di sgomento, mentre la pallida luce che danzava alle nostre spalle illuminava debolmente l’acqua. Procedendo a tentoni, con la paura di scomparire per sempre e oltrepassare il vuoto del mondo, ci dirigemmo verso Irja, procedendo al massimo delle nostre già deboli forze. Sbucammo anche noi dall’altra parte, insieme a tutti gli altri.

Nero. Mostruosamente nero. Solo la presenza dell’acqua indicava una direzione. Pian piano ci issammo sopra il livello dell’acqua e trovammo davanti a noi il buio. Un piccolo borbottio da parte mia e la punta del mio bastone cominciò a rifulgere di luce, calda luce solare. Davanti a me c’era Thor, che correva verso Irja, seduta accanto ad una porta, visibilmente seccata dall’illuminazione che tanto giovava al resto del gruppo.

La porta era evidentemente chiusa. Molto scortese da parte sua.

Cora si avvicinò con il suo solito passo leggero e armeggiò per pochi secondi con la serratura, grazie alla luce della mia torcia improvvisata. La porta devo dire che si comportò bene e non oppose resistenza. La essa un lungo corridoio si allungava nelle tenebre, lungo direzioni a noi sconosciute. Dopo un tempo che sembrò infinito, sentimmo un odore immondo provenire dal basso, segno che il corridoio somigliava orribilmente ad una fogna. Per poco Cora non affondò in quello che in molte culture viene considerato rifiuto non utilizzabile e i contadini lo utilizzano come fertilizzante, il cui nome non pronuncerò, per non ferire i vostri padiglioni auricolari. Sterco.

Dopo un po’ la luce. Eravamo arrivati in mezzo al bosco, in una piccola radura contenente un laghetto, fatto per ospitare i rifiuti proveniente da Hommlet. La cosa più interessante era che le tracce di quello che pensavamo fosse il giudice Goldwing si dirigevano verso la vecchia torre di guardia, evidentemente abbandonata da secoli.

Dalla torre si dipanava un alone, formato da un cerchio di torce che circondavano la radura, illuminando quasi a giorno la zona. Nella radura un mucchio di esseri umani caricavano materiale su un carro, berciando e gridando in un linguaggio che all’inizio non sembrava neanche provenire da questa terra.

Mi avvicinai, tramutato da un mio sapiente incantesimo in una nuvola di gas fluttuante. Scoprii che parlavano in Goblin, cercando di incitarsi a vicenda a caricare il carretto. Notai che tutti erano vestiti di ocra, tranne un umano che si rifugiò all’interno della struttura, circondato da un drappo di colore viola.

Dentro la torre non c’era niente, solo una struttura abbandonata e bruciata da secoli. Gli uomini stavano caricando il carro con delle casse provenienti da un sotterraneo. Mentre mi avvicinavo alla botola, tornai visibile. Maledetto campo anti-magia!!! Per fortuna ero riuscito a mascherarmi con un drappo ocra che avevamo recuperato alcune settimane fa, altrimenti non sarei qui a parlare di questa storia.

Dopo un po’riuscii a scappare verso i miei amici, nel bosco. Dopo un piccolo battibecco su cosa fare, decidemmo di tornare in paese e parlare con Rufus di quanto succedeva nel bosco.

Non ci vogliono ricevere!

Goldwing è a capo della città!

Bertrand è nella locanda!

Le cose iniziano a farsi confuse, i giorni si mescolano.

Rufus ci riceve.

Goldwing non è il capo della comunità.

Bertrand legge il libro troppo in fretta.

La cosa è abbastanza sospetta.

Sembra quasi che abbiamo perso un giorno. Il problema è dove! Sembra che tutta la zona sia soggetta a variazioni locali temporali, sempre più marcate. Se prima mancavano delle ore, adesso mancano dei giorni interi. Decidiamo di cercare Bertrand.

Per disgrazia mi allontano da solo nella locanda. Ovviamente sono precipitato in un altro tempo, ma spero che i miei amici mi conoscano già, così posso in qualche modo “ricominciare”.

3 anni avanti.

150 indietro.

50 indietro. Conosco Bertrand da giovano, è un novizio sbarbatello. Lo avverto del pericolo che potrebbe affrontare tra 50 anni. Gli dico di cercare il libro e distruggerlo prima che accada qualcosa di malvagio. Non mi crede. Ormai è ovvio che la causa scatenante di queste cose sia il libro stesso. Come Goldwing modifichi il tempo attraverso esso è ancora oscuro, forse è lui l’emanazione materiale del libro stesso, responsabile delle modifiche temporali. Può essere. Lui è il libro, evocato dalla magia stessa che riempie quelle empie pagine.

Di nuovo 150 anni indietro.

Aspetto.

2 giorni fa! Incontro i miei amici nel passato. Il libro è già stato aperto, ma le modifiche di tempo non sono ancora in atto e il giudice ci aspetta dentro la casa del rilegatore. Avverto i mei amici del tutto. Sono tutti sconvolti, anche se Irja sembra capire quello che dico. Preparano un piano di battaglia, in modo che il giudice non possa scappare!

1 giorno fa.

Sono stato di nuovo catapultato casualmente dentro il passato, ma ad una distanza accettabile. I miei amici hanno vagato nel tempo anche loro, finché ci siamo trovati in questo posto, in questo luogo. Ci deve essere qualcosa che possiamo fare. L’unica cosa che sappiamo e che la torre non è stata ancora svuotata, e che probabilmente il giudice è li che orchestra tutto. Dobbiamo muoverci, perché c’è il rischio che veniamo catapultati in un’altra epoca, dove non potremmo fare niente. Speriamo che Goldwing ci segua in questo viaggio temporale, altrimenti non lo troveremmo mai.

La torre è integra. Forse viaggiando nel bosco siamo tornati indietro, perché non è stata ancora distrutta dall’incendio. Chissà chi mai le darà fuoco…

Entriamo nella botola, dove ci attende una lunga serie di corridoi, pronti a farci perdere. Individuo velocemente eventuali fonti magiche, che ci portino dal giudice. Seguendo gli angusti corridoi passo davanti a quelle cose che verranno caricate nel carro tra qualche anno, per essere portate chissà dove.

Una porta.

Gentilissima anch’essa, si lascia aprire con estrema cortesia.

Oltre essa, una vasta sala, con 2 altari. Ci aspettano. Goldwing, il rilegatore e una decina di scagnozzi, pronti a farci la pelle.

Lo scontro dura poco. Il fulmino uno sgherro che aveva cercato di avvicinarsi un po’troppo, mentre il giudice cade ai nostri piedi, colpito a morte dalla furia di Thor. Il resto è storia.

Scompare tutto.

Torniamo in quello che potrebbe essere il nostro presente. La stanza è deserta, i corridoi son deserti, gli oggetti sono stati portati via. Saliamo in superfice. La torre è ancora integra, segno che con il passato non abbiamo ancora chiuso, che la nostra presenza in un altro tempo ha lasciato le cose variate. Ciò non va bene. Bisogna sempre che il passato non cambi, altrimenti le conseguenze sul futuro possono essere disastrose.

Muovo docilmente la mano, con noncuranza, come stessi allontanando una mosca troppo insistente. Un gesto segreto, imitato più volte da voltagabbana e vagabondi, che hanno cercato inutilmente di spacciarsi per maghi o incantatori.

La torre esplode, in un tripudio di fuoco, mentre l’intera struttura viene annerita del fuoco. Noto con soddisfazione un sorriso sulla bocca dei miei amici. Adesso possiamo andare avanti.