Spostati Nano di Merda!

Spostati Nano di Merda!

martedì 20 marzo 2012

BRABURABRUDBSIBSIBAJSASBSKSBIUB… SBANG! SPLAT! AAAAARRRRRRRRRRRRGH!

Perfetto, chi è quell’idiota che fa così tanto rumore? Chi è così limitato da gridare dentro un tempio tanto malvagio? Queste cose passarono per la mente di Wannbar, prima di dileguarsi nel dimenticatoio delle cattive idee, dove sarebbero state digerite assieme a tutto l’inutile ciarpame prodotto da quella sua mente un po’ troppo esuberante, esalando un gradevole rutto celebrale.

Era palesemente ovvio che rumori del genere dovevano provenire da Thor, quell’essere belluino, capace di gesta incredibili, ma completamente inetto nell’aprire una porta senza piegare un cardine. Nel mio clan esseri del genere non avrebbero potuto vivere in pace con gli altri e in un modo o nell’altro ce ne saremmo sbarazzati. Probabilmente l’avremmo posto a tirare un carretto pieno di pietre, o l’avremmo convinto a costruire una diga, per poi disfarla e ricominciare da capo.

Aspetta che vado a vedere cosa combina. Mi sa proprio che non mi conviene, ma credo che da soli sarebbero capaci di morire in maniera molto stupida. Poi Thor mi serve, distrae gli avversari che potrebbero ferirmi. Altro rutto celebrale, molto gradevole.

La scena è come me la sono immaginata. Thor osserva un lago di sangue di hobgoblin, mentre le loro carcasse assomigliano a delle squallide isole in un oceano porpora. Cora non si vede, ma da un mucchio di armature che si muovono da sole sporge un lembo del suo vestito, quindi mi sembra in buona salute. Se non ci si aiuta tra la gente piccola non so dove andremo a finire di questo passo. GIGANTI…

Il mezzo drago, Murpy, gronda sangue come un animale ferito. Bisogna stare attenti agli animali feriti, a un mio amico una volta un animale ferito ha venduto un carro senza una ruota. Quell’essere ha attirato tutti gli hobgoblin su di se, a quanto pare. Evidentemente qualche suo incantesimo non ha funzionato a dovere, perché sembra veramente messo male. Certo che se le va a cercare, forse dovrei stare attento e cercare di preservarlo…. Rutto. Devo smetterla di pensare a certe cose…

Da quello che mi sembra di capire, sono entrati nel tempio e le hanno prese. E fin qua ci sarebbe arrivata anche mia zia, Mildred, che il vecchio Garl la abbia in gloria.

Thor trova una porta, che da su una scalinata, riccamente decorata, con colori cangianti e mosaici sulle pareti. Molto bella, in qualche modo potrei ricordarmi il motivo della scalinata, in modo da riprodurla sui corridoi della mia caverna. Oltre la scalinata, troviamo una porta enorme, a doppio battente, con un teschio cortesemente impalato davanti ad essa.

Cora scosta il teschio con cortesia, senza disturbarlo, e assieme a lei cerchiamo di aprire la porta. Dopo qualche tentativo andato a vuoto, mi allontano scoraggiato, mentre Cora prova per l’ultima volta. Mentre il suo grimaldello si avvicina alla serratura, Thor colpisce con una martellata la porta, riducendola in poltiglia. Ma che cosa gli viene in mente? Noi stiamo cercando di fare silenzio, senza farci scoprire e… Rutto.

Oltre alla porta, una serie di corridoi si dipanano nel buio. Al che prendo una piccola moneta di rame, la lancio e decido la direzione da prendere. Sinistra. Ottimo, mi piace la sinistra, mi ricorda una vecchia barzelletta, dove c’è un Treant, un Coboldo e una Sirena che vanno…

Entriamo in una stanza, dove sorprendiamo 4 umanoidi, che impugnano subito le armi contro di noi. Non faccio in tempo a sganciare la balestra che Murpy mi oltrepassa, agita la mano fa scaturire un piccolo globo infuocato, che scaglia in mezzo agli avversari. Questo globo all’impatto si ingrandisce, uccidendo gli umani e carbonizzando la stanza. Nel fare questa pulizia etnica, ha eliminato tutte le tracce e gli indizi che avremmo potuto trovare nella stanza. Stupido mezzodrago. Gli tiro una manata, e già che ci sono, mi impadronisco di parte del suo potere arcano, che può sempre servire.

Ci avviciniamo ad una caverna, da dove percepiamo chiaramente l’odore del peccato. Vicino alla parete est, infatti, si trova una piccola pozzo d’acqua, da dove vediamo sbucare una piccola pinna. Gli altri fanno a mala pena ad accorgersi del movimento che balzo sul pelo dell’acqua e scarico l’incantesimo accumulato. Una enorme saetta corre nell’acqua, facendo emergere la piccola creatura, evidentemente morta.

Vittoria per me. Vi avventuro nell’acqua e dopo qualche difficoltà recupero qualche pezzo d’oro. Ottimo.

Altra caverna, anche questa piena dell’odore del peccato. Ma in questo caso il peccato si chiama sterco di Assimilatore, il quale mostra una spiacevole preferenza per la gente piccola. Mi attacca e solamente dopo un po’riusciamo ad avere la meglio e a strappare la sua stupida vita dalla sua bocca.

Altra caverna. Mi sto un po’ stufando, non c’è niente da fare, tanto che le mie ciocche son flosce e non galleggio più. Spero solo di incontrare qualcosa di interessante. L’ultimo scontro mi ha seriamente ferito, ma Thor non sembra accorgersene. Forse il suo collo non riesce ad inclinare la testa verso il basso. Rutto.

Troviamo una caverna bella larga, spaziosa, adornata da preziosi cristalli. Una stazione di rifornimento sta a una decina di metri dal suolo, mostrando tutto il suo squallore. Queste caverne erano una serie di miniere, ma i nani che le avevano costruite se ne sono andati da tempo. Alzo lo sguardo, per capire quale colonna di cristallo starebbe bene nella mia cucina, quando vedo un grande drago di color smeraldo appeso sul soffitto. Mi lancio immediatamente al riparo, mentre Thor e Murpy restan li a girarsi i pollici. Cora, quasi simultaneamente a me, riesce a nascondersi dietro una sporgenza rocciosa.

Thor mi chiama, ma non voglio far sapere la mia posizione. Nel mentre il drago ci individua e si scaglia contro i due membri del gruppo che vede. Un cono d’acido di color verde si propaga dalla sua bocca e investe il mitico duo. Thor sembra non preoccuparsene, mentre Murpy viene inondato da quella sostanza corrosiva. Da quello che posso vedere il giovane cambia letteralmente colore, passando dal blu elettrico a un giallo paglierino.

Dopo un duello interminabile (dove ho dovuto usare ancora un consistente parte della magia presa in prestito a Murpy) il drago crolla al suolo, evidentemente morto. Tanto morto che mi sento sicuro e baldanzoso e con un cipiglio al dir poco felino, corro verso quella che sembrava la sua tana.

Non vi ho detto quanto amo l’oro? Soprattutto se il drago in questione lo colleziona in pentoloni pieni. Ad occhio e croce saran circa un migliaio di monete, accompagnate da un certo numero di gemme e da una statua troppo pesante per me, che cerco di sbolognare a Thor, senza riuscirci.

Son costretto a dividere l’oro con gli altri, ma Cora non lo vuole, chiedendomi solo una pergamena, che do via a malincuore. Sarò costretto a rubare l’incantesimo a Murpy appena l’occasione si fa propizia.

Adesso quel mezzo drago di color giallo si lamenta perché è ferito. Potrei approfittarne per fare un piccolo scherzo. Lo guarirò con una danza tribale tipica delle tribù delma che dico, invento qualcosa, tanto la beve… Rutto.

Gli ballo un po’ davanti, e lui crede che gli abbia fatto bene… Me ne ricorderò.

Ora credo che andremo a riposare, la stazione di traino della miniera sembra un posto abbastanza sicuro, vista la sua posizione sopraelevata… al massimo distruggeremo la scala che porta fino in cima e piazzeremo delle sentinelle. I lividi e le ferite che ho riportato cominciano a farsi sentire.

martedì 21 febbraio 2012

MAI PROVATO UN LIBROGAME???

Questo è un gioco e le regole sono le seguenti:

comincia a leggere il primo capitolo, e ogni volta che bisogna fare un tiro di dado (verrà segnalato), vai al capitolo corrispondente al tiro. Se il finale non ti soddisfa, puoi ricominciare da capo.

Tu impersoni Born, un ladro che è riuscito a seguire non visto i personaggi di questa avventura, notando tutto quello che han fatto, grazie anche alla fitta rete di spie che hai in città.

CAPITOLO 1:

La giornata è afosa, una delle più calde di questa pazza estate. Ti sei nascosto tra le rovine della fortezza, poiché hai sentito dei rumori, come di crolli, provenire dall’interno. La calma attorno a te è quasi opprimente, poiché non si muove una mosca. L’unico segnale che il tempo si sta muovendo inesorabilmente verso la Fine dei Giorni è la coda del tuo pony, che scodinzola infelice poco lontano, memore di campi erbosi e colline in fiore.

Pian piano percepisci dei movimenti all’interno della struttura, come di passi di un gruppo non molto grande di avventurieri. Finalmente, sono usciti, pensi tra te e te. Pian piano delle figure escono dal palazzo. Per primo un enorme gigante, rumoroso come una cascata dopo delle forti piogge. Porta con se un corpo, sgraziatamente scomposto dal riposo della morte. Noti a malapena le fattezze di quel che fu un guerriero, a giudicare dall’armatura, di grande bellezza. Subito dietro di lui esce un uomo, grande e anziano, con tutta la saggezza di una lunga vita dietro di se. La barba inizia ad essere screziata di bianco, ma il fisico è forte, possente, ed emana un’aura di grande potere. Incomincia subito a dare degli ordini, mentre il gigante comincia a scavare una fossa, nell’evidente tentativo di dare una degna sepoltura al loro compagno.

In disparte, quasi non vista, c’è una piccola Halfling, chiusa nel suo mantello, che guarda attorno a se con circospezione. Per fortuna che non può vedermi, pensi, mentre ti sistemi meglio la cappa che avvolge il tuo capo.

La cerimonia è breve, funzionale e toccante. L’anziano uomo si avvicina e mormora una preghiera di interdizione dal male, mentre il gigante ricopre la fossa con delle lastre di pietra trovate la attorno.

Il gruppo si allontana, verso la strada principale. Li segui silenziosamente, ma tanto sai già che non possono vederti ne sentirti. Loro stessi sono molto rumorosi, e coprono tutti i rumori del bosco. Il gruppo si ferma per la notte in una piccola capanna di contadini. Ti avvicini alla finestra e sbirci dentro. Trovi una scena abbastanza strana. Noti un piccolo gnomo, poco più alto dell’Halfling, che levita attorno al gruppo, con fare piuttosto indisponente, mentre i suoi occhi cambiano continuamente colore, passando dal rosso all’arancio, il viola e il verde bottiglia. I suoi capelli sono quasi un insulto alla quiete, poiché ondeggiano quasi con vita propria, cambiando colore così spesso che è difficile poter determinare quale sarebbe quello originale.

Lo gnomo si avvicina ai due guerrieri e, parlando senza sosta, gira attorno a loro, evidentemente eccitato dall’incontro. Lo vedi che alza distintamente il braccio, da cui parte una nuvola di fumo, che non sembra disturbare i due uomini. Poi la nuvola si dirada, e riesci ad intravedere un guizzo rosso sotto il colletto dello gnomo. TIRA UN DADO A 6 FACCE: SE FAI MENO DI 3, VAI AL CAPITOLO 2, SE FAI PIU’ DI 4, VAI AL CAPITOLO 3.

CAPITOLO 2: La conversazione all’interno sembra languire, tanto che lo gnomo incomincia a perdere i suoi poteri levitanti, ondeggiando senza sosta, senza trovare pace. Tutti alla fine fan silenzio e si ritirano nelle loro rispettive camere per poter dormire.

Ti corichi anche tu.

La mattina dopo, ti posizioni nel bosco attiguo, e ti nascondi nuovamente con grande perizia. Vedi il gruppo del giorno prima uscire dalla casupola, dopo essersi profusi in ringraziamenti nei confronti dei contadini. Noti che lo gnomo del giorno prima si trova su una panchina sotto la veranda della casa, e appena il gruppo si mette in cammino, questo si mette in testa, parlando senza sosta con l’anziano guerriero, che sembra sopportare a malapena il nuovo compagno di viaggio.

Arrivate velocemente alle porte della capitale, ed entrate, spinti dalla calca, senza suscitare molto clamore nelle guardie. Li segui a breve distanza e noti che lo gnomo, senza alcun riguardo, si è tranquillamente appollaiato sulla spalla del gigante, il quale non sembra risentire del peso aggiuntivo. L’anziano uomo lo guarda con disapprovazione, ma non dice niente.

La folla diventa sempre più grande, poiché è giorno di mercato, ma riesci agilmente a star dietro loro. Noti immediatamente che c’è qualcosa che non va: il gigante ha urtato per caso un uomo, o così sembrerebbe, di colore blu. I suoi capelli son violacei, mentre gli occhi variano il loro colore, passando dal rosso al giallo e viceversa. Il gigante si scusa immediatamente, mentre lo gnomo si spaventa, e si aggrappa alla testa del suo supporto, urlando qualcosa sul fatto che è blu.

La strana creatura si spolvera le vesti, senza nessun imbarazzo. Sembra accettare le scuse del gigante, ignorando contemporaneamente lo gnomo. In quel momento dalla sua bocca prorompe una lingua strana, fatta di sibili e grugniti: il lampo rosso che hai visto la sera prima si rivela di nuovo, correndo su e giù per la manica dello gnomo, che, con altrettanti sibili cerca di quietarlo. Ad un certo punto il lampo passa di mano, andando ad avvolgersi attorno all’umanoide. Questo scatena l’inferno:

lo gnomo salta addosso alla creatura, avvolgendolo alla testa e tirandogli pugni con quelle sue piccole mani, mentre il lampo rosso torna a nascondersi nella manica del suo proprietario. La creatura cade a terra, nella polvere, gridando aiuto e altre parole molto strane, che non riesci a capire.

Nel mentre sopraggiungono le guardie, e, dopo un breve ciacolio, accompagnano lo gnomo e la creatura in cella. TIRA UN DADO A 6 FACCE: SE FAI MENO DI 3, VAI AL CAPITOLO 4, SE FAI PIU’ DI 4, VAI AL CAPITOLO 5.

CAPITOLO 3: il gigante si infastidisce, lo noti immediatamente dallo sguardo che lancia al maestro. Noti che sgancia l’attaccatura del martello che si porta alle spalle, e vedi a malapena il guizzo del suo braccio.

Il martello vola alto nella stanza, guidato da una forza sovrumana. Una macchia scura, fatta da sangue e frattaglie varie sostituisce lo gnomo, mentre le pareti si imbrattano di una sostanza che solitamente si trova all’interno del corpo. Come direbbe tua nonna: le sue interiora sono diventate le sue esteriora.

LO GNOMO E’ MORTO, SE PREFERISCI, SCEGLI UN ALTRO PERCORSO.

BUONA LETTURA!

CAPITOLO 4: Il gruppo procede avanti nel mercato, privi dello gnomo e di quel strano essere. Li sembra prendere strade diverse, poiché l’anziano uomo di dirige verso un tempio visibile in lontananza, mentre il gigante sembra accompagnare la piccola Halfling verso una tenda posta dall’altra parte della piazza. Decidi di seguire la strana coppia.

Nella tenda c’è molto rumore, ma non ti sembra di vedere i normali traffici del mercato. Qui tutti sono vestiti con i loro abiti migliori, mentre le voci sembrano tutte ripetere la stessa cosa: il proprietario della bottega e sua moglie sono stati uccisi, avvelenati pochi giorni prima. Nel retro della bottega si stanno svolgendo le esequie. Da lontano vedi la piccola Halfling che entra nella parte della bottega dove si trovano i corpi, seguita poco dopo dal guerriero. Questo, dopo poco tempo se ne va, squotendo la testa, mentre la giovane lo guarda, un po’ delusa e con il volto bagnato da un’unica lacrima. TIRA UN DADO A 6 FACCE: SE FAI MENO DI 3, VAI AL CAPITOLO 6, SE FAI PIU’ DI 4, VAI AL CAPITOLO 7.

CAPITOLO 5: La strana coppia viene sbattuta in cella, uno vicino all’altro. Vedi lo gnomo che comincia subito ad alzarsi da terra, ricoprendo di domande la strana creatura, che non risponde, stando rintanata in un angolo. Ad un certo punto vedi che lo gnomo tende la mano all’essere, come per presentarsi, ostentando allegria e vitalità. La creatura non è di quell’avviso, e si rintana più a fondo nella cella.

Come per incanto, dalle mani dello gnomo parte una ragnatela, che avvolge strettamente la creatura, che si mette a gridare, con gli occhi rossi e dilatati. Lo gnomo riesce a stringergli la mano. Decidi di avvicinarti un po’ e riesci a sentire questo pezzo di dialogo:

G: quindi? Da parte di mamma o di papà? Chi era quello che sputava fuoco, aveva le ali e mangiava interi villaggi??

C: lasciami! Liberami!

G: posso dirti un segreto?

C: prima liberami!

G: No! Prima dimmi che il segreto che sto per dirti non lo rivelerai a nessuno! E’ importantissimo!! Giura! Giura!

C: va bene, lo giuro sulla testa di Kerr…

G: (abbassando la voce) io non posso liberarti…

Le grida si fanno sempre più alte, tanto di svegliare un ubriacone li vicino. Questo si mette a gridare qualcosa, biascicando parole inarticolate, con le labbra rosse spaccate dal troppo vino. Lo gnomo lo guarda con curiosità, si avvicina all’ubriacone e alza un braccio. Improvvisamente uno sbuffo parte dalla manica e l’ubriacone cade a terra, profondamente addormentato.

Questo sembra rasserenare la creatura, che si tranquillizza. Dopo un po’ i legacci che lo tengono prigioniero sembrano dissolversi, mentre i due si mettono a parlare con quella strana lingua, piena di schiocchi, sibili e grugniti, mentre il lampo rosso corre da una parte all’altra della stanza, senza fermarsi.

Così passa la notte. La mattina dopo si fa attendere nella noia e nell’indolenzia. I due strani personaggi han continuato a parlare con quella strana lingua, e tu hai perso il filo, addormentandoti a notte inoltrata. Appena ti svegli vedi il gigante della sera prima che va verso di loro, accompagnato da una guardia, che li libera con un poderoso giro di chiave. Lo gnomo, appena prima di andar via, da un calcio all’ubriacone, facendolo svegliare per la prima volta dopo svariate ore. VAI AL CAPITOLO 8.

CAPITOLO 6: La giovane Halfling si scrolla la lacrima e si allontana dalla piazza. La vedi dirigersi verso un edificio, abitato da un noto alchimista. Dalla finestra la vedi discutere con il proprietario della bottega, che di colpo assume un far assai deferente, abbondando di inchini la sua parlata. Vedi la giovane che nasconde una piccola lettera, passare dell’oro al proprietario della bottega e continuare a parlare. Il gestore, un Halfling anche lui, si mette la casacca, impugna una piccola spada, e si pone davanti la giovane, scortandola verso il palazzo reale.

Alle porte del palazzo vedi il piccolo gruppo venir fermato dalle guardie della cittadella, che bloccan loro il passo. Dopo una breve discussione, la coppia di Halfling si allontana, mormorando maledizioni nel loro linguaggio tipico. La giovane si rinchiude nella locanda e per un po’ di tempo non riesci a vederla.

Ti affacci ad una finestra e vedi la piccola che porta un vassoio ricco di portate di cibo verso un altro Halfling, vestito di nero, che cortesemente rifiuta il cibo, allontanandosi verso un'altra sala. La giovane la segue e tu li perdi nuovamente di vista.

Entri nella locanda, e senza neanche guardare il proprietario che ti addocchia, entri nella sala dove li hai visti sparire. La stanza è vuota, ma una finestra lasciata aperta non lascia dubbi su dove possono esser andati. Fai per uscire dalla finestra, per entrare in un piccolo vicolo, pieno di carri e imballaggi, quando una piccola saetta argentea ti supera. Vedi la giovane Halfling barcollare, mettersi in ginocchio e svenire, mentre attorno a lei le gambe della gente alta sembrano ricoprirla. VAI AL CAPITOLO 9.

CAPITOLO 7: il guerriero gigante si dirige verso il quartiere magico, entrando in varie botteghe, chiedendo di incantatori e osservando la merce esposta. Dopo un paio d’ore passate in questo modo, lo vedi entrare in una locanda, sedersi al tavolo e cominciare a parlare con gli avventori del posto, vecchi carrettieri e mercanti che han chiuso il negozio per la notte. Al calar del solo il giovane paga la cena e si corica nei piani superiori, pronto a passare una buona notte di sonno. VAI AL CAPITOLO 5.

CAPITOLO 8: il trio esce dalla prigione e si avvia verso il tempio di Heironeous. Noti che lo gnomo cerca di arrampicarsi di nuovo in groppa al guerriero, ma questo lo pone a terra, borbottando qualcosa sull’onore dei paladini. Lo gnomo allora si avvicina all’altro componente, e gli da una pacca sulla spalla. Non appena il gigante fa per girare un angolo, dalle mani dello gnomo partono di nuovo dei filamenti, che cercano di avvolgere il guerriero, con l’unico risultato di sporcare una vasta area attorno a lui. Questi si arrabbia e gridando afferra per la vita lo gnomo, alzandolo oltre i 2 metri da terra. La piccola creatura sembra ridere e afferra la mano del gigante, grande come lui. Toccandolo rapidamente con i suoi pugnetti. Il gigante sembra emettere una strana luce, alzandosi di statura abbellendosi alla vista della gente li intorno.

Giunti al tempio, noti il gigante parlare con l’anziano uomo, mentre lo gnomo e il suo compagno si mettono a correre e saltare più in alto che riescono. Ad un certo punto si mettono a saltare oltre il gigante, fino a che lo gnomo non inciampa contro un sasso e va a sbattere contro l’elsa del martello. Di punto in bianco si mette a gridare, levitando attorno alla vita del gigante.

Entrano nel tempio e tu non riesci a seguirli. Improvvisamente senti un tuono, provenire dall’interno, e la risata di scherno dello gnomo di colpo smette, mentre delle guardie portano lo gnomo e l’umanoide fuori dal complesso. Qui lo gnomo si mette a saltare, alzando i pugnetti al cielo, mentre il suo compagno schiocca la lingua con fare minaccioso. Di colpo esce il gigante, e dopo una breve discussione, fatta con lo gnomo che salta e si agita più che mai, indicando vari oggetti, il gruppo si muove verso la cerchia esterna e le campagne circostanti. VAI AL CAPITOLO 10.

CAPITOLO 9: la giovane si risveglia dopo un intera giornata di sonno. I suoi servi l’hanno accompagnata nella locanda, e tu riesci a vedere quello che fa grazie ad un piccolo foro nel tetto. La giovane si dibatte, in preda a forti crampi allo stomaco, mentre il sole è già alto nel cielo e i mercanti cominciano ad aprire le botteghe. Vedi che a poco a poco la giovane si alza e si mette a preparare quello che sembra un fantoccio. Evidentemente non vuole far sapere al mondo che si è alzata e che è ancora operativa. La vedi rivoltare il letto, esponendo la paglia che fa da materasso, allontanarsi, guardare la sua opera e sistemare la paglia, mentre il sudore le imperla la fronte. Si allontana per ammirare la sua opera. Non è soddisfatta, questo è evidente: la vedi che sbuffa, pesta i piedi, ma alla fine sembra aver trovato la soluzione.

La vedi che si toglie la casacca e la camicia, lasciando esposta la pelle bianca. Noti che si leva il reggiseno, e lo sistema sulla paglia rivoltata. Si riveste in fretta e guarda la sua opera. Evidentemente soddisfatta va a chiamare un servitore, di nome Finn. Riesci a tendere l’orecchio, e senti questo dialogo:

C: Finn, devo darti delle commissioni. Vai al mercato, e di che la Principessa porta le sue condoglianze a tutto il clan. Di loro che sono a letto, bloccata a causa di un attentato, e che i miei uomini sono alla ricerca dell’assissino e del mio aggressore. Anzi, voglio un tuo parere: che te ne pare del mio camuffamento?

F: Milady, è solo un pagliericcio rivoltato. Se voleva fare uno scherzo al giovane Finn, ci è riuscita molto bene. Se vuole che non si sappia che lei è già in piedi, sono disposto a darle una mano a sistemare il suo ingegnoso tranello.

C: come vuoi, Finn, aiutami!

Vedi distintamente Finn che si avvicina, rimboccando meglio le coperte. Si allontana, guardando la giovane con sospetto. Lei si avvicina al letto, apre un po’ le coperte che ha sistemato il suo servo e si allontana. Il lavoro non le piace, squote la testa con una piccola smorfia. Si avvicina e si sistema dietro il letto. Afferra il suo reggiseno posato all’altezza del petto e lo gira, mettendolo sottosopra. Congeda Finn e dice tra se e se:

C: Perfetto, questa si che è ben fatta!

QUESTA PARTE E’ FINITA. SE NON TI E’ PIACIUTA LA STORIA, TI CONVIENE TENTARE UN’ALTRA STRADA! BUONA LETTURA.

CAPITOLO 10: hai seguito fuori città il trio, che si sta avvicinando verso un villaggio della campagna limitrofa. Stanno procedendo speditamente, con la coppia formata dallo gnomo e dall’umanoide che saltano oltre la testa del gigante, più attento al mondo che gli sta attorno. Tutto ad un tratto, appaiono in una nuvola di zolfo 2 enormi esseri volanti, armati di unghie e emettendo lampi luminosi dalle pupille. L’essere con la pelle blu viene rapidamente ghermito e portato in alto da una di queste creature, mentre il gigante si mette a duellare rapidamente con la seconda. Lo gnomo, dopo aver percorso qualche passo indietro, lancia un piccolo dardo contro l’essere che ha afferrato la creatura blu. Questo sembra perdere un po’ del suo infernale splendore, mentre la povera preda da lui ghermita gli tocca un artiglio. Subito il diavolo si accascia a terra, riuscendo a malapena a camminare. Dopo una serie di colpi molto brevi dello gnomo e del suo compagno blu, la bestia si trova morta al suolo, a fianco del suo compagno, abbattuto da una martellata del guerriero. Il trio fa per allontanarsi verso la città, quando un enorme diavolo, di color rosso appare loro davanti e dice queste empie parole:

D: per oggi avete vinto voi, e vi lascio passare. Sappiate che questo affronto non sarà tollerato!

La bestia poi scompare in una nube di fumo, mentre i tre si allontano in verso la città, per ricongiungersi con la compagna lasciata indietro.

QUESTA PARTE E’ FINITA. SE NON TI E’ PIACIUTA LA STORIA, TI CONVIENE TENTARE UN’ALTRA STRADA! BUONA LETTURA.

martedì 14 febbraio 2012

Pow Last Session!

Lasciato alle il villaggio di Clanferon, seppelliti - laddove possibile - i loro morti, gli avventurieri superstiti, i due paladini, Thor e Friederich e la sfuggente halfling Cora, si ritrovarono in un'era confusa, che non dava riferimenti di alcun tipo, se non che la cittadina era disabitata come l'avevano trovata all'inizio e che il Maestro Betrand non c'era. La decisione che unanimente fu presa, dopo un momento di riflessione, fu di ritornare ad Hommlet, in modo da provare a cercare qualche punto di riferimento - in base per esempio ai reggenti - e qualche viso amico - Bertrand, semmai fossero stati nell'epoca giusta e se fosse stato lì-. Giunti che furono al villaggio, si recarono prima al castello per trovare saggezza nelle parole di Rufus, il mago, il quale si fece trovare in uno stato che poco lasciava dubitare sulla sua attività alcoolica della sera precedente. Dopo una conversazione tanto interessante quanto infruttuosa, decisero di andare alla locanda che doveva essere dismessa, e così la trovarono, poi a quella dove trovarono, imperitura a sconquassamenti spazio temporali, la proverbiale cordialità di Marydosen, la quale li accolse con la solita cortesia degna di un pontile del peggior porto, ma che diede loro una notiza insperata: Bertrand era lì. Una volta ordinata la cena, servita dalla locandiera con la consueta delicatezza, i tre decisero che bisognava verificare effettivamente la presenza del Maestro nell'edificio, per cui toccò a Thor salire nel piano delle camere, sopra la sala comune, a cercare Betrand. Dopo qualche tentativo rivelatosi poi un buco nell'acqua, finalmente il paladino trovò la stanza del Maestro il quale, interrotto nelle sue preghiere, gelò il suo allievo per l'interruzione poco gradita, ma poi fece lui capire che non era in possesso del diario di Solas e che l'epoca in cui si trovavano era quella attuale, sempre se si può definire così. Passata la notte, chi dormendo, chi commemorando l'amica perduta, chi meditando, i tre avventurieri del gruppo di partenza si trovarono nella sala comune anche con Bertrand. Erano pronti per recarsi alle rovine del tempio del Male Elementale, luogo che in effetti non avevano mai visitato, quando la loro partenza fu ritardata dall'arrivo di un halfling il cui arrivo in paese fu già annunciato dalla cortese, per toni e maniera, voce della locandiera. Era Lothar, un halfling che poi si rivelò essere fratello, o quantomeno parente di Cora, apostrofata poi col nome di Felana (Giulia sul serio non ricordo, te ga più nomi che skei!!), e portavoce della tribù, o meglio clan, che aveva dato loro i natali. Ottenuta dai paladini la protezione di Cora, ottenuta da quest'ultima la parola che avrebbe indagato sui misteri di un male che si sta risvegliando ed, infine, ottenuta dai paladini la sorveglianza della sorella, Lothar lasciò il paese, così come il gruppetto. Bertrand, superstite e vincitore dell'ultima spedizione al Tempio, fece strada con sicurezza verso le rovine del tempio, ma la notte sopraggiungeva, e gli avventurieri sapevano che non era cauto sfidare le insidie celate nell'oscurità, ragion per cui si fermarono in un villaggio, per meglio dire un gruppetto sparuto di tre case, cercando ospitalità. Vennero accolti da un gruppo di vecchietti che non esitarono ad offrir loro riparo; l'attenzione dei paladini però, fu subito colta dalla strana consistenza dell'aria, che sembrava essere pregna di una strana essenza: erano in guardia. Il vecchietto che si rivelò più arzillo confidò loro che la notte era impossibile non solo uscire, ma persino tenere le finestre aperte, infatti queste ultime erano visibilmente sprangate, a causa di dei rumori, come di uno sciame che come fiume in piena investiva l'edificio, che causò la scomparsa dei vicini. Il gruppetto passò la notte tutto in una stessa stanza, con turni di guardia, con il preciso obiettivo di ripartire all'alba del giorno dopo per andare a fondo della faccenda. Giunta l'alba, i due paladini e l'halfling, seguendo la guida sicura di Betrand, guinsero senza indugi alle rovine di una struttura che il Maestro spiegò essere stata un avamposto convertito dalla missione di distruzione del tempio. Percependo distintamente una grossa aura maligna provenire dal edificio diroccato, il gruppetto, capeggiato da Bertrand ed i suoi due allievi, decise di farsi strada tra l'oscurità. Scendendo, gli avventurieri si trovarono di fronte uno scenario non proprio aspettato: nebbia, molta, che rendeva l'aria tanto tangibile quanto umida, un suono di corna lontano ma tremendamente incalzante, strano liquido appiccicoso che fuoriusciva dalle crepe del pavimento e che poi, dopo un'attenta occhiata, era abbondante un po' dappertutto, soprattutto intorno alle strutture architettoniche. Il gruppo si dispose in fila indiana, Friederich, seguito da Thor e Cora, capeggiava la piccola carovana chiusa da Bertrand. Camminarono su pavimenti a dir poco instabili, sia per spessore, sia per consistenza, tanto che dopo qualche metro, il peso di Thor lo fece scivolare verso il basso, che corrispondeva all'ignoto, ma Heironeus guidò la sua mano ad un appiglio che gli fece sì evitare il peggio, ma al contempo notare in lontananza una strana struttura appesa al soffitto che poco non attirò l'attenzione del cavaliere. Ristabilita la carovana, il gruppo si trovò di fronte ad una delle due scale a chiocciola che Betrand sapeva essere una via certa per poter discendere, ma davanti a loro trovarono l'imprevisto: un dedalo tanto confuso quanto radicato di liane e piante rampicanti avvolgeva completamente le scale. Senza perdersi d'animo Bertrand estrasse lo spadone, col preciso scopo di scovare un varco, quando l'occhio attento di Frederich, fece in modo che la sua mano non fosse colta da un ramo che la stava per circondare ed afferrare. Grazie all'acutezza del paladino, il gruppo venne messo in guardia sulle piante, ragion per cui la volontà iniziale di Betrand di creare un passaggio, mutò in quella di debellare l'abominio. Impugnate torce e armi taglienti, i paladini si prodigarono per creare un passaggio, ma le piante dimostrarono non solo di essere più che semplici rampicanti, ma di sapersi difendere. Liane e rami fecero per afferrare Bertrand, il primo della fila, ma fu salvato dalla prontezza di Frederich, le cui percezioni sembravano guidate da Heironeus in persona. Vedendo tuttavia che la pianta non demordeva, il gruppetto decise di cambiare scala. Arrivati all'altra scala a chiocciola, Betrand fu più deciso e netto: diede subito fuoco con veemenza alle piante, che si difesero. La difesa del Maestro paladino consisteva nella spada di Frederich, la quale tranciò di netto un ramo che stava per avvilupparlo e dalla potenza di Thor, che con una martellata colpì un punto nevralgico della pianta, dal quale sgorgò linfa. Una volta scesi al piano di sotto, sempre accompagnati dal rumore del corno che suonava, dalla consapevolezza che la nebbia avvolgeva tutto e tutti in una letale penombra e che le ragnatele erano infiammabili, finalmente, dopo del tempo, scorsero, grazie alla vista acuta di Cora, qualcuno in corrispondenza di quella struttura notata all'inizio da Thor, nella sua quasi caduta. Era un trono, l'avevano visto tutti ora, seduto sul quale, a testa in giù, si dondolava in modo convulso, rapido e ritmico. La figura era umanoide, era lontana, ma lasciò subito intendere che non aveva difficoltà a muoversi a testa in giù e la sua volontà bellicosa. Una volta più vicina, si scoprì che il losco figuro, dallo sguardo folle, iniettato di sangue quanto di ansia, era il maestro di Bertrand, la prova che, a discapito delle parole di Rufus, anche il più buono può venir corrotto. Il nemico (di cui onestamente no go capì el nome!), per prima cosa, apostrofò Betrand con frasi irridenti, poi fece in modo di evocare i suoi "amici": addentrandosi sempre di più all'interno ed in profondità nella struttura, gli avventurieri vennero a conoscenza che la struttura architettonica principale era sì esistente, ma non poteva prescindere dalle enormi ragnatele che sì la avviluppavano, ma che le conferivano enorme stabilità; capirono anche che un eventuale danno alle ragnatele poteva compromettere l'integrità dell'intera struttura. Coerentemente con l'ambiente circostante, il Maestro empio, chiamò a sè alleati tanto piccoli quanto numerosi, gli avventurieri riuscirono a distinguere, tra la nebbia - nel frattempo infittita - e la poca luce, tre sciami distinti di aracnidi, i quali puntavano dritti i paladini. Non sentendosi più protetta, Cora decise di affidarsi al suo istinto, piuttosto che alle pesanti armature dei compagni, quindi si tuffò in mezzo ad un cumulo di piante, sperando di non esser vista. La sua azione non fu vana, Betrand e Frederich corsero verso il nemico sfidando la strettezza del camminamento, la sua scivolosità e le insidie che poteva celare sotto fatiscenti assi di legno. Thor invece volle assicurarsi che i ragni non attaccassero Cora, infatti, torcia in mano, decise di frapporsi tra lo sciame e l'halfling, garantendole la fuga. Mentre i primi due paladini continuavano ad avanzare, Thor si fece spazio nello sciame utilizzando la torcia, in modo tale da essere vicino ai compagni. Nel frattempo, il malvagio cavaliere, aveva evocato 6 demòni, i quali volavano intorno alle sue braccia nella stessa maniera in cui gli uccellini cinguettano intorno ad un pesco fiorito. Bertrand e Frederich decisero di avvicinarsi con un approccio più studiato al nemico, quindi camminarono verso di esso, ma l'intelaiatura di ragnatele ed assi cedette, e li fece trovare a testa in giù. Thor invece puntò ad un approccio più diretto, dopo una breve rincorsa spiccò un salto verso il nemico, senza ahilui fare i conti con le creature infernali alate, le quali lo afferrarono e artigliarono, portandolo in aria. Gli sciami di ragni nel frattempo avanzavano: uno in direzione di Cora, che nel frattempo, trasportata dalle piante che sembravano rifuggire i ragni, era finita al piano di sotto; uno si eclissò nell'oscurità, l'altro puntava Thor, il paladino più arretrato come posizione. Mentre Betrand e Frederich cercarono di liberarsi tranciando le ragnatele, Thor disarcionò tre demòni su sei, il suo peso fece in modo che lo mollassero, la sua forza che si riuscisse ad afferrare all'estremità del baratro che voleva in principio saltare e che lo separava dal suo nemico. Liberatisi, Frederich e Betrand, dovettero fare i conti con un grande ragno, grosso all'incirca come un granaio - tra zampe e torace - che prima li immobilizzò con la sua tela, poi cercò di attaccare Cora, che nel frattempo stava esplorando il piano basso, cercando di capire la disposizione e la costruzione dell'enorme ragnatela, che sembrava avere una zona nevralgica in corrispondenza del baratro in cui stava finendo Thor. Lo scontro evolse con l'uccisione del ragno da parte dei due paladini in basso, e con Thor che stava sì per risalire a livello del nemico principale, ma che fu, costretto da una pedata sulla mano, fatto cadere in basso. Il suo peso unito alla gravità fece il resto, si trovò incastrato nel pavimento misto di tela e legni, con uno sciame che lo avvolgeva, e con i demòni che lo tormentavano con i loro artigli tanto piccoli quanto penetranti. La situazione sembrava in pieno controllo delle forze del male fin quando Cora, guidata da un po' di coraggio misto curiosità, non recise una grossa ragnatela che, come un tirante, sembrava sostenere una parte di struttura dove stavano anche Thor, il paladino decaduto e Frederich. Precisamente come se avesse subito la rottura di un tirante, la struttura collassò addosso a Thor, Frederich gli cadde sopra. L'ex maestro, trovatosi allo stesso livello delle sue nemesi, non esitò ed approfittare della situazione per ferire molto gravemente Frederich, che già era stato fiaccato da altri ragni, richiamati dall'entità maligna. Betrand, una volta ucciso il ragno che minacciava Cora, si precipitò verso il suo vecchio maestro, - ma non fece in tempo a salvare la vita del suo discepolo Frederich, il quale, dopo un combattimento strenuo e stoico, nel quale Thor, nel frattempo rialzatosi devstò con due martellate il trono del nemico, dal quale Cora vide volar via qualcosa, cadde sotto gli empi colpi del nemico - saltò il baratro che lo separava da quest'ultimo e Thor, invischiato nella tela dei ragni, e si frappose. Cora nel mentre, era intenta a fuggire dallo sciame di ragni che l'aveva puntata, e correva lungo uno stretto e scivoloso camminamento. Betrand fu colto impreparato da due fendenti vibrati dalla spada con l'elsa d'osso del suo vecchio maestro, il quale colpiva con odio viscerale ed empio il suo un tempo allievo. Betrand stramazzò al suolo, salvando però così Thor, ancora invischiato nelle appiccicose tele dei ragni. Il maestro stava per passare a lui quando quest'ultimo, incanalando l'energia positiva di Heironeus, diede linfa vitale al suo maestro, il quale si potè rialzare e riprendere lo scontro. Rinvigorito dalla fede, Thor, in un unico gesto, squarciò le tele che lo limitavano e balzò in piedi. Sentendosi in pericolo, il nemico fece per spingere Betrand, di nuovo colto alla sprovvista dall'azione inaspettata della sua nemesi, il quale però fu fermato dalla mole di Thor che, puntati i piedi, divenne un muro inamovibile. Messo alle strette, il nemico fuggì, con la sua capacità di camminare, proprio come un ragno, a testa in giù, si rifugiò sotto il pavimento, ma non aveva fatto i conti con la furia di Thor il quale con una prima martellata disinterò la già fragile struttura, e con un secondo colpo, carico di energia positiva, sconfisse definitivamente il nemico..

(oh, magari ho fatto casino, ma l'ho scritto in pausa studio, per cui abbiate pazienza, sennò prossima volta fè voi e rangeve! :p)

giovedì 9 febbraio 2012

IL NUOVO INCONTRO

La morte di Soveliss fu un avvenimento inaspettato, assolutamente al di la della comprensione dei suoi compagni. Ovvio, erano tutti avventurieri, sapevano che la morte poteva attenderli ad ogni passo, dietro ogni pietra e ogni anfratto che loro esploravano, ma la perdita di una persona così vicina fu un evento drammatico, quasi irrealistico.

Avevano assistito alla sua prima caduta e alla sua redenzione, avevano visto come il male che albergava dentro di lui era sparito, scomparso come un brutto sogno, dentro la notte che tutto dimentica, che si nutre di paura e incubi.

Avevano visto che c’era possibilità di redenzione per tutte le creature e avevano cominciato ad apprezzare il giovane elfo, con quel modo di fare molto pomposo, quasi nobile - che purtroppo contraddistingue la sua razza, ma allo stesso tempo anche poco esigente, senza chiedere gli agi e le comodità che avrebbe potuto pretendere.

Non aveva legato in maniera stretta con nessuno di loro, anche se per ognuno aveva trovato un modo per rendersi utile, portando informazioni, assistendo carcerati, proteggendo e incantando quello che passava loro davanti. L’esplosione della torre rimarrà sicuramente impressa negli occhi di quelli che erano con lui in quel momento.

Morì cercando di fermare Solas, il malvagio essere che imperversava nella regione. Avevano appena fermato una schiera di non morti, guidati dai chierici del Tempio, quando Solas, mascherato da vecchio monaco, provò ad allontanarsi. Soveliss lo seguì, cercando di convincere il monaco a tornare indietro con il gruppo, in modo da dar lui protezione e sicurezza.

Purtroppo il monaco riuscì a toccarlo, evidentemente con l’intenzione di sondare il suo animo e vedere se mentiva. Soveliss non poteva immaginare che nel suo tocco si nascondeva un incantesimo più potente di quello che si sarebbe aspettato, il gesto non era a lui familiare, abituato a magie più appariscenti e poco convinto dell’azione degli dei nelle magie del quotidiano.

La morte giunse a lui in fretta, senza possibilità di scampo. Il suo corpo si accasciò, fragile come un cristallo, effimero come la rugiada dopo una notte di pioggia. Cadde con banale solennità, a braccia aperte, sparpagliando gli oggetti che aveva nella sacca intorno a se, quasi a formare una squallida corona attorno al suo capo.

Il suo animo vide tutta la scena, mentre gli occhi si velavano e si chiudevano un ultima volta, mentre lui riconosceva la sensazione che aveva provato un’unica volta, quando si era trovato al cospetto di Heironeuos. Il suo spirito vide i suoi amici che correvano verso di lui, vide il loro sguardo stupefatto che guardavano il suo piccolo corpo, disteso a terra come una foglia ai primi freddi dell’autunno.

Fu sepolto in maniera semplice, sotto un cumulo di terra nel bosco, a legame di quello che i boschi erano per lui, il suo luogo di nascita, il suo luogo di eterno riposo. Il posto fu benedetto, e i paladini pregarono per la sua anima, mentre Iria e Cora stavano in disparte, silenziose e con i cappucci alzati sopra la testa. Non avrebbero pianto, Soveliss era per loro ancora un mistero, però una nota di dispiacere avanzava nel loro animo.

Una volta terminate le esequie, lo spirito di Soveliss si girò, allontanandosi tra gli alberi. Dopo un breve cammino, dove non sentì fatica, si trovò dinnanzi a una piccola porta, adornata da ghirlande di pungitopo, che emanava una luce soffusa dal suo interno. Vedeva distintamente le rune intagliate sull’architrave, mentre le colonnine che reggevano la struttura sembravano fatte da argento liquido, da tanto erano cangianti e mutevoli. Esse passavano da un motivo semplice, fatto di piccole foglie scolpite a formare un ramo infinito, a figure più complesse, di draghi d’oro e d’argento, uniti in una danza eterna. La porta era priva di pomello, ma Soveliss era sicuro che l’avrebbe trovata aperta.

Spinse i battenti, e la luce si espanse per un largo tratto attorno a lui. Notò con un certo piacere che la luce lo attraversava senza sforzo, non lasciando ombre e non preoccupandosi di lui. Oramai era sicuro di quello che sarebbe successo.

Entrò, guardandosi indietro un’ultima volta, lasciando che il suo sguardo girasse benevolo nello spazio e nel tempo, osservando i suoi amici che avanzavano, ignari del pericolo che portavano con se. Era sicuro che ce l’avrebbero fatta, sperava di non dover accogliere nessuno di loro. Si rigirò e non vide più nulla in questo reame mortale, mentre l’animo entrava per la prima volta nella volta dei celesti. Finalmente avrebbe capito tutto e la sua fame di conoscenza sarebbe stata placata.

Era finalmente felice.

mercoledì 8 febbraio 2012

Iria, al di là

Le esequie di Iria furono celebrate nel cortile dietro la chiesa di Pelor, entro il recinto del piccolo cimitero. Non fu facile la scelta della funzione da officiare, dato che non era rimasto più nulla del suo corpo, tranne quell'unico ciondolo che aveva rappresentato il suo - seppur improbabile - legame con Heironeus: i paladini e il loro maestro erano unanimi nell'intenderlo come segno, manifestazione della potenza stessa del loro dio.
Cora, com'era logico aspettarsi, decise di tenere per sé il ciondolo, a ricordo di Iria, ma dovette scontrarsi con i paladini, i quali non potevano tollerare che un simile artefatto andasse in mano ad una miscredente. Ma le argomentazioni dell'astuta halfling fecero cessare ogni lamentela: l'amicizia era un nobile sentimento, sacro quasi - si sforzò - quanto la fede.
Per la funzione Cora propose di costruire un piccolo tumulo con pietre benedette. Una volta eretto ci mise in cima il pendaglio. Alcune parole sacre vengono dette; altre cariche d'affetto e tristezza vennero pensate. Infine, con le dite bagnate delle lacrime, Cora afferrò il pendaglio e se lo mise al collo.
E subito sentì come un brivido pervaderla dentro le ossa; l'aria quasi impercettibilmente le vibrò attorno; e una nebbiolina perlacea la circondò, si espanse e in ultimo si dissipò.
I paladini si osservarono sgomenti, ma dopo aver visto il loro dio attraverso le vestigia mortali di quella drow solo un giorno prima, in cuor loro ognuno attribuì quell'evento al mistico ciondolo e ad una fede potente seppur nascosta della drow; o forse che lo stesso Heironeus si stesse manifestando e stesse dando a tutti loro la sua benedizione. Acquietati che furono i loro animi, fecero per rompere il circolo attorno alla tomba quando una risatina e una voce maliziosa riecheggiarono familiari: "vi ringrazio per questa funzione spartana ma sincera: è di certo ciò che desideravo per le mie esequie".
Iria. Stava seduta in una posizione improbabile sulla pila di pietre. La sua figura era traslucida, come se fosse fatta di nebbia, ma ciò che più stupiva era il sorriso sul suo volto dalla pelle grigiastra, una maschera di ceramica scura in cui occhi gialli brillavano come lucciole. I paladini non percepivano alcuna minaccia, nemmeno quella malvagità residua propria dei geni malsani dei drow. Al contrario, una sensazione di pace si espandeva da quella visione evanescente.

Cos'era successo? Iria era stata disintegrata, le sue spoglie mortali erano state polverizzate, in maniera definitiva, e lei si era ritrovata al di là.
Heironeus ne aveva reclamato l'anima, anche se dovette contendersela con altre divinità. Ma fu proprio il modo in cui Iria era stata uccisa a decretare a chi sarebbe appartenuta: non era più una drow, dato che non esistevano più tracce fisiche della sua natura, quindi Lolth era stata scacciata; non era più un'adepta del culto del male elementale, perché proprio da un suo sacerdote era stata distrutta, quindi Taridzhun era stato bandito; non era più una creatura della montagna e dell'inverno, perché la sua volontà e le sue scelte erano state spazzate via assieme alla sua vita terrena, quindi anche Telchur s'era allontanato. Solo l'anima era rimasta, solo un'unica scintilla, quello spirito di orgogliosa benevolenza che aveva, inizialmente con riluttanza, curato e deciso di nutrire dentro di sé, quindi solo Heironeus era rimasto.

E Heironeus richiamò l'essenza di Iria e lei si ritrovò puro spirito di fronte al dio.
"Di nuovo", aggiunse lei.
"Questa volta è diverso; questa volta non esiste altro di te, solo", l'abbracciò completamente con la sua potenza, "questo".
Iria si guardò, o piuttosto percepì se stessa e comprese che era giunta la fine delle sue peregrinazioni. E subito un impeto di forza misto ad ira la sopraffece, e come un unico boato investì la magnificenza del dio con i suoi pensieri.
Heironeus la guardò, o piuttosto la percepì, e comprese ancora più profondamente il vero desiderio dentro quell'anima tormentata. Comprese quanto fosse stato straziante per lei una dipartita senza redenzione; come la sua ricerca per una nuova identità non fosse infine mai approdata a nulla; e quanto questo desiderio insoddisfatto avrebbe perseguitato e torturato quell'anima per le ere a venire. Comprese quale pericolo si celava dietro a tutto ciò, in un'esistenza superiore circondata da dei malevoli e infidi. E decise di proporle una rinascita, simile a quella che ebbe anni prima, ma questa volta invece di uscire dal buio delle caverne, le propose di uscire dalle sue membra e di tornare nel mondo come puro spirito, come drow - sì - nell'aspetto, ma nell'animo elfa come era stato deciso sin dalla notte dei tempi dalla volontà del grande creatore.

FELELAS

Nato da una stirpe di alti elfi, Felelas fu un ragazzo particolare fin da giovane. La sua voglia di sperimentare e di capire il mondo lo porto attraverso i lunghi anni della giovinezza a intraprendere strade pericolose e poco battute dagli altri mortali presenti sulla Terra. Per questo motivo, una volta compiuti i 40 anni, si iscrisse alla scuola di magia del suo paese.

Come elfo grigio, il suo essere parte di una società senza dubbio superiore a qualunque altra , la sua vocazione più grande era la magia e la manipolazione delle forme. L’illusione, l’inganno e la trasformazione della materia lo affascinava più di ogni altra forma di magia.

Per questo motivo decise di intraprendere la cangiante via delle molteplici forme, via che più di una volta aveva portato alla pazzia parecchie persone, incapaci di distinguere il reale dall’illusione, confuse dal loro stesso potere e dal loro mutare forma. Incapaci mortali! Lui che più di tutti aveva desiderato possedere il controllo delle forme, che più di tutti aveva sperimentato la modifica delle forme di vita, era miseramente ingabbiato in un fragile corpo elfico, superiore a tutti sicuramente, ma costretto comunque all’invecchiare del tempo, al declinare dei giorni, alla corruzione della carne. Perché?

L’immortalità è un bene necessario, 600 anni sono pochi per poter sperimentare, per intraprendere le vie proibite della magia, per forgiare il proprio destino per la grandezza. chi poteva capire il suo sogno? Chi poteva seguire il suo destino?

Per questo decise di partire, appena compiuta la maggiore età, con un gruppo di avventurieri, per ripulire una zona pullulante di orchi, vicino al paese in rovina di Nulb, vicino alle rovine del Tempio. Le loro avventure li avvicinarono al Tempio, fino a farli entrare in quelle rovine, piene di misteri e di magia. Finalmente una sfida per il suo livello, finalmente la possibilità di capire la magia meglio di chiunque altro, finalmente la possibilità di strappare agli dei l’immortalità!

Dentro il tempio le sfide furono ardue, le stanze piene di pericoli e di mostri. Nonostante il Culto fosse stato estirpato e Lareth sconfitto, i vari Templi Elementali erano ancora forti e il loro potere era vasto e insito in ogni cosa. Quindi le difficoltà furono subito molteplici e mortali.

Dopo una settimana in quelle rovine, il loro gruppo era sfaldato. Quattro morirono solamente al primo livello del tempio, mentre gli altri 2 erano stati portati via da degli orchi. Le loro grida echeggiarono per giorni, intrappolate tra quelle rovine. Rimasi solo, al buoi, con il mio libro di incantesimi e basta.

La mia capacità di mutare forma e di passare inosservato mi permise di addentrarmi sempre più nel tempio, a carpire segreti e riconoscere parole d’ordine, comandi e segreti. Mi innamorai della mia situazione. Potevo vivere come un fantasma, circondato da quelle immense rovine, vivendo di furto e omicidio, carpendo segreti e conoscenze.

Un giorno entrò nelle sale più interne, dentro una torre nascosta. Li dentro conobbe i segreti della Triade, i capi del Tempio e si affascinò del loro potere. Volle far parte di quel disegno, che lo avrebbe portato all’immortalità, ne era certo!

Eccomi, potente Triade, io fui lo spettro di questo luogo. Appartengo a una razza superiore, capace di cose straordinarie, ma non mi basta. Io voglio l’immortalità, voglio il controllo della mia anima, voglio il potere di poter decidere il mio fato. Voglio unirmi al vostro disegno, pensare voi e voi soltanto. Voglio le vostre parole di potere dentro la mia bocca e incise nella mia mente, voglio fare di Imix il mio signore. Cedo il mio corpo al Tempio, che possa fare di quello che vuole. Ho ucciso molte delle vostre creature, ma che infimi avversari! Loro che non sono capaci neppure di riconoscere la realtà dalla finzione, cosa volete che siano? Io sono necessario a voi, posso proteggere il vostro operato e aiutarvi a compiere il vostro destino. In cambio voglio il controllo del mio!

La Triade ascoltò in silenzio il giovane elfo. Poi scomparve, mormorando parole di potere. Evocarono una creatura di fuoco, fatta di fiamme e lava, con del carbone al posto degli occhi. Si rivelò come emissario del Tempio del Fuoco, e gli parlò. Il contenuto del discorso non è dato a saperlo, ma l’elfo ricevette il dono della vita e si unì al Tempio. Vista la sua grande intelligenza fu mandato nel mondo per spiare e debellare tutte le minacce per il Tempio, sviando avventurieri e carpendo segreti. Le sue forme molteplici gli permisero di fare grandi lavori per il Tempio, gli permisero di distinguersi. Gli permisero di forgiare il suo destino.

Ebbe il permesso di uccidere per non farsi scoprire, di lottare per mantenere il suo ruolo, di debellare la minaccia crescente degli altri Templi, per la gloria e l’onore del Fuoco.

mercoledì 18 gennaio 2012

L’INIZIO

Dove eravamo rimasti? Si, al sogno del giovane Lareth.

Dovete capire, miei signori, che la situazione era molto delicata. Lareth era in una fase della vita molto difficile per un uomo, dove deve decidere che orientamento dare alla sua vita, se seguire la virtù e tutto quello che essa comporta, oppure abbandonarsi alle seduzioni del male, alle sue malie e ai suoi incantamenti. La visione, poiché di visione si parla, era troppo nitido per essere un sogno, mostrava i tormenti dell’anima del giovane, combattuto dal desiderio di rivincita nei confronti della sorte che gli sembrava avversa e dalla voglia di emergere come creatura nuova, completamente emancipata dal padre e dalla sua condizione di intoccabile, vecchio e ubriaco com’era.

Era ovvio, anche alle menti più semplici, che la visione mostrava il combattimento tra Lareth e i suoi dubbi, i suoi problemi. Lui li affrontava così, combattendo per la vita, con una forza che non sapeva di possedere, con un coraggio degno di un grande eroe.

La visione mostrava si una lotta che avveniva allora nella mente del giovane uomo, ma poteva anche mostrare il risultato di tale lotta. Lareth avrebbe trionfato, in un modo o nell’altro. Purtroppo nessuno sapeva ancora in che modo ce l’avrebbe fatta a vincere le sue paure. Magari, se qualcuno di noi fosse venuto a conoscenza in qualche modo del risultato di tale lotta, lo avrebbe fermato e avrebbe distrutto sul nascere uno dei più grandi mali del nostro tempo. Purtroppo non sta a noi giudicare la colpa prima che essa venga compiuta e sappiamo tutti che l’alterazione del passato porta a risultati inaspettati, anche nelle condizioni più semplici. Inoltre voglio proprio vedere chi di noi avrebbe avuto il coraggio di colpire questa creatura, ancora pura e innocente, nonostante la sua vita fosse una rovina e i suoi affetti fossero già persi irreversibilmente.

Non sappiamo in che stato Lareth si sia svegliato la mattina dopo la visione. Purtroppo questa parte della sua vita è avvolta nel più completo mistero, poiché i suoi compaesanei sono già tutti morti da tempo, piegati in modo irreversibile dai limiti della loro razza. Solo Lareth stesso potrebbe rivelarci cosa fece quella mattina e nel periodo immediatamente successivo, ma non credo che il suo spirito dannato sarebbe contento di rivelare la sua debolezza e il suo momento più buio.

Comunque lui ebbe un’epifania: gli fu rivelato il suo destino, si sarebbe emancipato dalla sua situazione. Quello che probabilmente non capiva era come avrebbe potuto rinascere a vita nuova, completarsi e divenire il vero artefice di se stesso. Le ultime notizie che si hanno di lui e che fu venduto da un mercante di schiavi nella capitale. Quello che possiamo dedurre è che il suo villaggio fu razziato, oppure che in qualche modo reso schiavo.

Il suo aspetto veniva subito notato, poiché la sua bellezza era straordinaria per la sua razza, come se gli dei avessero benedetto la sua nascita, anche se la sua infanzia faceva pensare il contrario. Fu comprato da un altro mercante, noto a noi per i suoi intrallazzi con alcuni culti cabalistici e malvagi. Conserviamo gli atti di vendita del giovane Lareth e da quello che possiamo notare, fu venduto a caro prezzo.

Anche qui si perdono le sue tracce, anche se lo si notò nella zona di Hommlet, circa sei mesi dopo la sua vendita. Indossava vesti nuove, di cangianti colori, bordate d’ocra. La locandiera ci confessò, sotto l’azione di magie che riportano i ricordi in superficie, dall’oblio del dimenticatoio, che pagò tutto in oro, e che le sue mani erano costellate di anelli e bracciali, a dimostrare il nuovo stato sociale. Inoltre sappiamo che aveva un grosso seguito, composto per lo più da loschi figuri, ammantati d’ocra anch’essi, che portavano appresso molti asini caricati pesantemente con casse, segnate da un sigillo strano, composto dalla runa Y, rovesciata in un triangolo. Tale simbolo, destinato ad essere riconosciuto in tutto il ducato, era ancora sconosciuto ai più e il paese non era così importante per vedervi insidiato un mago o un religioso di grande potere, che sarebbe stato capace di riconoscere il pericolo.

La sua venuta a Hommlet destò grande interesse, poiché la piccola cittadina non aveva mai visto un seguito così grande ad una sola persona. Inoltre nessuno capiva dove si sarebbe diretto. Infatti lui veniva dalla capitale, e portava vettovaglie e attrezzature per vivere mesi, se non anni, in qualche luogo oltre Hommlet. Quello che la gente non capiva era dove mai potesse andare. Oltre il paese non c’era nulla di importante, se non le terre selvagge, puntellate a macchia di leopardo di piccoli insediamenti di taglialegna o banditi, che rendevano la zona molto pericolosa. Si parlava inoltre di pirati dei fiumi, che per fortuna non osavano spingersi fino alla cittadina, poiché essa era protetta dalla nuova torre di guardia e da una serie di cataratte che rendevano la navigazione impossibile da un certo punto in avanti.

Comunque le supposizioni dei paesani mai avrebbero potuto immaginare il male che avrebbe fatto.

Come comparve nella città, così sparì. Di lui non si seppe nulla per vari anni, fino a che alcuni mistici eventi non posero l’attenzione delle forze del bene in quella ragione. Allora i popolani, persuasi dai paladini inviati in zona, iniziarono a ricordare di quella strana spedizione, che pareva essersi persa nel nulla. Da anni oramai era entrata nella leggenda e i locali l’avevano riempita di particolari stravaganti e aneddoti poco realistici. I nostri paladini riuscirono a scoprire la verità in mezzo al folklore, e si misero alla ricerca di questa spedizione, per capire dove un numero così vasto di individui e mezzi fosse andato, facendo inoltre perdere le tracce di se per così tanti anni.

Da quello che potremmo supporre, Lareth diventò in quel periodo una persona di grande potere, accumulando in se ricchezze e segreti. Era diventato, ma questo lo scoprimmo dopo, uno dei fautori del Tempio, comandante di una guarnigione segreta di orchi e gnoll vicino a Hommlet, responsabile di molte razzie nei confronti delle campagne circostanti.

Il resto è storia, il tempio fu sconfitto in una battaglia oramai entrata nella leggenda, Lareth fu ucciso dal nostro campione, che nella lotta gli impresse una cicatrice sul volto, deturpandolo per sempre, il Tempio fu sradicato dalle fondamenta.

Da quello che ora sappiamo, qualcosa di nuovo e malvagio si aggira oggi nella regione, ponendo le basi su quello che fu il Tempio. Qualcuno dice che sta risorgendo, mentre altri pensano che sotto c’è un orrore ancora maggiore. L’unica cosa certa e che lo spirito di Lareth è stato richiamato, e sicuramente vorrà vendicare la sua sconfitta.

Ho paura che anche se abbiamo vinto la battaglia tanti anni fa, la guerra è ancora in atto e la nostra vittoria è tutt’altro che scontata.

Così parlò Ioreth, Saggio del Circolo. Fate tesoro delle mie parole, perché capire il nemico è il primo passo che porta alla sua redenzione, che essa avvenga con le parole o la spada. Le anime immortali mi siano testimoni che Lareth il Bello è salvabile, ma esso prima deve essere fermato.

Andate.

martedì 17 gennaio 2012

LA COLPA DEL PADRE

Lareth era oramai una costante della vita della piccola famiglia. Ormai aveva già visto nascere e morire circa cinque primavere e oramai aiutava la famiglia nei campi che dovevano lavorare. Nulla di pesante, passava le giornate scorrazzando dietro il padre o i fratelli più grandi, dissodando il terreno dai piccoli sassi che riusciva a portare, oppure raccogliendo in strette fascine le sterpaglie che venivano strappate dalla falce. La famiglia si era un po’ ridotta. Sua sorella più grande si era sposata già da tre anni con un uomo di un villaggio vicino e oramai portava i segni inconfondibili di chi ha portato avanti più gravidanze di quelle che avrebbe potuto mantenere con il piccolo podere di proprietà del marito. Non che pativa la fame, ma il suo sguardo era sempre teso e la minestra serale era sempre annacquata. L’unica nota positiva e che i suoi tre bimbi erano sani e tra un poco di tempo qualcuno di loro avrebbe potuto aiutare lei e il marito con il lavoro.

Suo fratello più grande invece era scappato di casa, cacciato via dal padre lo scorso autunno, quando quest’ultimo aveva comunicato alla famiglia del suo desiderio di arruolarsi nella forza ducale. Il padre pensava che quella fosse un’accozzaglia di prepotenti, pronti a vessare le famiglie deboli come la sua, mentre il figlio era irresistibilmente attratto dalla divisa e dal briciolo di potere che portava quel particolare status sociale.

La madre però stava male. Oramai aveva raggiunto e superato le quaranta primavere senza troppi intoppi, fino a quell’inverno. Da li le cose erano degenerate: non aveva portato a termine l’ultima gravidanza e il fato era nato morto dopo un travaglio durato più del solito. Mentre i familiari aspettavano con impazienza la fine di quell’atto, per Lareth la cosa era nuova: stare al freddo, per quasi un giorno intero, ad aspettare di poter entrare per vedere quella che sarebbe stata una creatura fragile e senza alcuna difesa dalle difficoltà della vita. Le emozioni si sovrapponevano in lui. Indubbiamente la curiosità era dominante, ma con qualche accesso di rabbia e frustrazione, dovuta alla sua impazienza e alle urla della madre, che si facevano sempre più alte durante il giorno. Mentre passavano le ore, le comari del paese si davano il cambio per assistere la donna in quel difficile momento, ma ogni volta che passavano per la piccola porta di casa, il loro sguardo era sempre più cupo e non degnavano di una parola la piccola famiglia in attesa.

Alla fine, non appena poterono entrare, la situazione era abbastanza tragica. La madre stava a letto, sconvolta dalla fatica, con gli occhi lucidi e senza alcun sprazzo di vitalità. Il padre capì subito che la situazione era grave, ma purtroppo in casa mancavano i soldi per poter correre da un guaritore che sistemasse la faccenda. Dovevano fare da soli.

Mentre le piccole davano una mano alla famiglia, preparando una cena frugale e occupandosi del piccolo Lareth, il padre con il figlio più grande era occupato a far rinvenire sua moglie, attingendo alla sapienza contadina, che da secoli veniva tramandata nella famiglia.

Dopo ore e ore di cure, dettate da superstizioni e decotti alle erbe, la madre ebbe un sussulto di vita e cominciò a respirare normalmente, ponendo fine a quel terribile ansito che aveva accompagnato il lavoro durante le cure. Purtroppo il parto l’aveva debilitata e da allora non era stata più capace di alzarsi dal letto. Le comari del villaggio dicevano che era una cosa che poteva accadere, soprattutto a madri non più giovani che affrontavano un parto di troppo.

Da quel giorno Lareth dovette lavorare sempre più per la famiglia, per molti anni a venire, dovendo sobbarcarsi di una parte del lavoro fatto finora dalla madre. Questo sicuramente lo indurì, sia fisicamente che psicologicamente. Infatti, se da un lato il troppo lavoro contribuì a formare in lui un fisico possente per un semplice contadino, dall’altro fece sviluppare in lui una certa durezza di cuore, tipica degli orfani e dei malfattori. Come si può biasimare un bambino del genere? Infatti dovette affrontare molte prove durante la sua infanzia, dettata da povertà e da una madre oramai quasi paralizzata a letto, da un padre che cercava di tirare avanti una famiglia sempre più povera e dai fratelli e sorelle che oramai lottavano per un pezzo di pane in più. I prosciutti erano scomparsi dal soffitto della casa, e gli spifferi erano aumentati. Riuscivano a malapena a tappare i buchi del tetto, figuriamoci a riparare le travi. Oramai la casa era cadente, deformata sotto il peso di troppa neve e troppa acqua.

Dopo qualche manciata d’anni – qui la cronologia è piuttosto carente, comunque meno di una decade, la famiglia era praticamente distrutta: le sorelle erano accasate in famiglie troppo povere per poter aiutare il nucleo originale da dove erano venute, tutti i fratelli erano scappati di casa, arruolati chissà dove, o costretti a mendicare, pieni di vergogna, in città lontane, privi della forza necessaria per tornare indietro a sopportare il giudizio del villaggio.

La madre era morta, spenta durante l’ennesimo inverno troppo freddo e il padre, di riflesso, era divenuto un ubriacone, senza la lucidità necessaria a lavorare. I campi erano incolti, e le sterpaglie regnavano sovrane in un appezzamento che una volta poteva essere definito ricco.

In tutta questa desolazione, Lareth era semplicemente magnifico. Il suo fisico statuario lo contraddistingueva dalla miseria in cui si trovava e il suo bel viso era pieno di vita. Di lui però saltava subito all’occhio un piccolo particolare: non sorrideva mai.

Era capace soltanto di una specie di ghigno, che non saliva mai fino agli occhi, rimanendo allo stadio di una smorfia che deformava i suoi lineamenti, fino a renderli quasi lupeschi. Altro particolare non indifferente, che colpiva molti degli abitanti del villaggio, era che in tutta la desolazione della sua famiglia, lui sembrava prosperasse, ed era sempre più forte e bello.

Oramai era quasi evitato dai compaesanei, che all’interno delle loro case discutevano del giovane Lareth, così bello da essere irraggiungibile dai mortali, così strano da essere evitato da quelli con cui un tempo aveva giocato per le strade polverose del villaggio.

Una notte – le cronache narrano che fosse fine autunno, Lareth fece un sogno molto particolare. Questo fatto è noto poiché ho avuto la possibilità di leggere uno spezzone del suo diario, dove veniva raccontata l’esperienza.

Nel sogno, Lareth indossava una tunica nera come il giaietto e si aggirava per le case del villaggio, alla spasmodica ricerca di qualcosa, senza riuscire né a capire di cosa si trattasse, né a trovare quello che supponeva che stesse cercando. Le uniche sensazioni che riusciva a percepire attorno a se erano il buio della notte e l’assenza di vento. Si accorgeva a malapena delle piccole orme che lasciava dietro di se, l’unica cosa che gli importasse era di andare avanti.

Ad un certo punto si imbatté in una figura barcollante, che urlava e scalciava senza sosta, in preda ad una frenesia animale. Tale figura si mise a gridare cose incomprensibili, con una voce di tuono che sicuramente avrebbe svegliato il villaggio. Lareth sentì l’impulso di far tacere quella voce.

Nel sogno saltò addosso all’individuo, cercando di tappargli la bocca, ricevendo in cambio soltanto un morso. Dal suo animo si scatenò una forza, enorme e spropositata. Facendo appello a questa nuova energia, nera viva e gioiosa di essere utilizzata, riuscì a far cadere a terra l’individuo e a tappargli la bocca con un pugno. Questa mossa funzionò molto bene, visto che le grida furono sostituite da un gorgoglio soffocato, mentre pezzi di denti cadevano a terra e la mascella veniva deformata dalla forza che imprimeva Lareth al suo braccio. Lareth continuò a premere con il pugno, deciso a far smettere le grida, mentre il corpo sotto di lui cominciò a sussultare, in preda agli spasmi, mentre le mani dell’individuo cercavano disperatamente un appiglio lungo le muscolose braccia del giovane.

Smise di imprimere forza al braccio non appena il suo avversario cessò di muoversi. La cosa lo rendeva soddisfatto: non era la prima volta che faceva sogni macabri, ma quello era così reale….

LA CARTA BRUCIA MEGLIO ALL’INFERNO

Le leggende narrano della nascita del primo Tempio e dell’ascesa del Male Elementare su questa terra. Si narra anche di come un gruppo di avventurieri ha sconfitto le forza del male, portando al mondo pace e tranquillità, con la speranza che i malvagi non osassero più ripetere questo misfatto, non osassero più risvegliare quegli antichi poteri.

Nessuno narra però di come questi poteri hanno avuto la possibilità di nascere, nessuno ha preso il compito di cercare tra antichi testi e mistici misteri la figura, l’uomo che è stato capace di risvegliare l’antico culto, pronto a risvegliare la propria distruzione.

Questo compito mi è stato affidato, e quindi devo portarlo a compimento. Non è stato piacevole cercare tra antichi testi e cabale mistiche, spesso nascoste in biblioteche così vecchie e malvagie da farmi pensare che non ci fosse via d’uscita per me e per la mia cerca. Ma alla fine sono riuscito a portare a termine il mio compito, sono riuscito a descrivere che razza di uomo è stato capace di portare il male in questa regione, sono stato capace di scoprire il vero volto dello spettro che si aggira per Nulb.

Molti di voi si sono aggirati per quei luoghi, con spirito di avventura, per il puro gusto di fare una bravata. Qualcuno di voi ha avuto la fortuna di vedere lo spirito di questa anima inquieta aggirarsi per la città, adempiendo ad antichi compiti che gli erano stati assegnati. Qualcuno di voi è riuscito a tornare indietro a raccontare questa avventura, perché non è stato visto dallo spettro. Si narra che coloro che l’hanno visto negli occhi non sono più tornati indietro.

Vi parlerò quindi di Lareth il Bello e della sua ascesa nel culto.

Lareth il Bello era proprio così: bello. Fin da bambino si distingueva dai suoi coetanei per la sua incredibile bellezza, tanto che poteva essere scambiato per uno di nobili origini. Nacque come molti di voi in casa, mentre sua madre veniva aiutata dalla lavatrice del villaggio, la vecchia più brutta e sterile dell’intera regione. Suo padre e i suoi fratelli aspettavano fuori, più infastiditi dalla pioggia che sorpresi dall’evento. I parti erano all’ordine del giorno in quel villaggio di contadini, dove l’unica fonte di sostentamento era appunto la terra. Questo fatto, unito all’alto tasso di mortalità, portava le famiglie a procreare come dei conigli.

Quindi Lareth nacque nell’indifferenza, mentre fuori pioveva e i campi erano brulli e spogli a causa dell’inverno. Non appena la levatrice uscì fuori dalla casupola nella quale viveva la sua famiglia per andare a bruciare le pezze e gli avanzi del parto, assieme ad erbe aromatiche e simboli arcani, per propiziare la nascita, la sua famiglia entrò a guardare per la prima volta il nuovo arrivato, per vedere com’era e iniziare a fare delle previsioni sul suo futuro.

Da quello che so, il padre non era convinto che il piccolo avrebbe superato l’inverno, visto che la madre era ormai anziana e gli ultimi due parti erano finiti in modo tragico. Purtroppo i piccoli che erano nati prima di lui non avevano visto la primavera, uccisi da quelle malattie che colpiscono i più deboli durante l’inverno. Anche la madre ne era uscita molto provata. Per questo motivo nutriva seri dubbi sul futuro del piccolo. I fratelli invece non erano così cinici, ed entrarono spinti dalla curiosità. Le sorelle pensavano che prima o poi sarebbe toccato anche a loro partorire in una catapecchia, assistiti solamente da una vecchia, mentre fuori il loro marito avrebbe aspettato in ansia, magari anche ubriaco. Infatti la primogenita di quella famiglia era quasi in età da marito, avendo appena compiuto i tredici anni, ed essendo già donna nel corpo da un po’ di tempo. Le più piccole fantasticavano ancora su principi, eroi e condottieri, che le avrebbero rapite al calar del sole, per sposarle e condurle verso una vita d’agi e ricchezze, piena d’amore.

La stanza era buia e l’aria era soffocante, piena di quell’odore che contraddistingue le case di contadini. Alcuni prosciutti facevano bella mostra di se in alto, legati alle travi del soffitto, mentre delle piccole scaffalature sulla parete est ospitavano alcuni vasi di terracotta contenenti miele selvatico e cipolle sotto aceto. Accanto al camino – una piccola struttura di pietra, senza grosse pretese, era posizionato un piccolo barile, contenente delle mele raccolte nel bosco vicino. Dei pagliericci erano posti dall’altro lato della stanza, per minimizzare il rischio d’incendio, mentre una scala stava mestamente appoggiata a terra, unico segnale dell’esistenza di un soppalco, dove probabilmente era posto il letto matronale. Tutto sommato non era una brutta casa, solamente era proporzionata al reddito della famiglia di Lareth. Piccola, soffocante, ma tutto sommato accogliente e abbastanza ben tenuta, se non si considerava il soffitto imbarcato e un paio di travi marce.

La madre di Lareth era posta sui pagliericci del pianterreno, esausta e arrossata in viso, con la vestaglia sudata e tirata su fino alle ginocchia. Teneva il bimbo al seno e non sembrava turbata o preoccupata per la sorte dell’ultimo nato.

Da quello che sappiamo Lareth nacque con una folta chioma bionda, che si arricciava sulla sua piccola testa, facendo quasi un cuscino per la notte. I suoi occhi erano chiusi, e poppava con energia il suo primo pasto. Era più grande della norma e, almeno ad una prima occhiata, era pieno d’energia. Mentre poppava agitava un pugno, a rimarcare la sua presenza nel mondo.

Il padre poteva ritenersi soddisfatto. Forse il piccolo sarebbe sopravvissuto.

mercoledì 11 gennaio 2012

Tutto ciò che è...

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Perfetto. Sono entrato in contatto con i miei soggetti. E’ stato più facile del previsto, uno dei paladini mi ha nominato guida del gruppo, la cosa non può che portarmi dei vantaggi, sia economici, sia per la mia missione.

In questi giorni ho capito che Hommlet è piena di spie, pronte a fornire indicazioni al tempio dei movimenti degli avventurieri di passaggio. Anche se sono passati 15 anni dalla caduta del culto, ormai siamo più forti che mai e possiamo aspirare a prendere il controllo della regione. Finalmente il culto è pronto a risorgere!

I miei compagni sono particolarmente strani. Tra le fila annoveriamo 2 paladini, uno dei quali è piuttosto esotico. Sembra essere più piccolo dell’altro e sicuramente meno potente in forza fisica, anche se sembra il “mistico” della coppia, molto attento alle preghiere e alle riflessioni verso quel smidollato di Heironeous. Mi si è presentato come Frederic e non stento a credere che si chiami così, visto la sua professione.

Il secondo paladino è un robusto umano, che impugna un’arma molto grande e sproporzionata per le sue dimensioni. Alto, enorme e scorbutico: è un paladino atipico, molto meno preso dal culto rispetto il suo compagno. Dispensa oro come fossero noccioline, ma devo stare attento. Anche se non sembra intelligente, sono sicuro che è molto forte, e può portare scompiglio nei miei piani. Il fatto che 2 paladini siano aggregati alla mia compagnia mi rende il lavoro difficile, devo stare attento a mascherare le mie intenzioni. Il secondo si chiama Thor.

Il quarto compagno è una piccola Halfling, svelta e di verde vestito. E’ molto sfuggente, cambia nome in continuazione e sembra che stia sbrigando delle commissioni per conto di un mago, è venuta in questa zona per prendere delle erbe per il suo committente. Ci è stata presentata come Cora, anche se l’ho sentita distentamente presentarsi alla locanda come Eugenia. Sembra molto furtiva e l’ho vista nascondersi in tutta fretta durante i combattimenti che abbiamo affrontato nella giornata.

Il quinto elemento ci è stato presentato con Cora e purtroppo per me è un’Elfa Oscura. Oltre a badare a tutti i problemi che mi possono creare i paladini, devo stare attento che non mi pugnali la notte. E una figura pericolosa nel suo, da eliminare al più presto. Sarà per me un piacere vederla arrancare nel tempio, fino allo sfinimento…

Purtroppo la situazione è precipitata. Sono stato costretto ad avvicinarmi all’avamposto del tempio, cosa che non volevo, poiché le informazioni che avevo mi dicevano che nella vecchia fortezza stava nascendo un piccolo culto e che questo aveva bisogno di tempo prima di essere autosufficiente e poter rivelarsi in tutto il suo potere. Sono riuscito ad avvertire i chierici con un incantesimo, ma ho lasciato loro solo pochissime ore di preavviso.

Appena arrivati alla fortezza ho visto 2 adepti del tempio uccisi davanti all’ingresso. Qui c’è qualcosa che non va. Faccio per avvicinarmi al portone principale delle rovine che veniamo attaccati da un enorme drago blu, che sbuffa piccole scintille dalle narici. Il drago non sapeva di bloccare l’ingresso al tempio, o almeno credo. Comunque era un ostacolo che doveva essere eliminato.

La lotta fu lunga, anche se la cosa si risolse a nostro favore… il drago per poco non uccideva l’elfa, ma purtroppo i paladini sono riusciti a guarirla e a salvarle la vita. Durante il duello sono riuscito a nascondermi e a evitare lo scontro, ma comunque ho aiutato i paladini a fare il lavoro sporco… non sono uno di quei maghi che si divertono a manipolare l’energia, preferisco manipolare le coscienze e agire alle spalle, mi è molto più familiare…

I miei compagni hanno pensato di continuare a esplorare la fortezza, nonostante il mio parere contrario. Allora mi sono infuriato, non solo andavano a curiosare dove non dovrebbero, ma anche vanno contro la mia figura di guida. Sono stato assunto per guidarli alla ricerca di persone scomparse, e loro vanno a ficcare il naso nella vecchia fortezza! Probabilmente le persone scomparse sono state uccise dai sicari del tempio, ma potevo benissimo allontanarli dalla vera pista e portarli fuori regione, visto che conosco molto bene la zona…

Decisi quindi di scomparire e con un piccolo incantesimo divenni invisibile ai loro occhi. Mentre li osservavo feci scappare i loro cavalli, così sarebbero tornati a piedi. Per fortuna non videro l’ingresso segreto, almeno quello è stato nascosto bene…

Per fortuna avevo un piano di riserva: avvertire i chierici. Loro avrebbero organizzato sicuramente qualcosa per accogliere degnamente i miei “amici”…

Lode al Tempio risorto!

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Come raccontare al mondo quello che mi è successo? Come narrare che ho visto la speranza negli occhi della divinità, pronta a perdonare e concedere a me, umile elfo delle foreste una possibilità di redenzione in questo mondo dove il male è di casa? Non lo so, ma forse la cosa migliore da fare è narrare quello che si prova, per avvertire i malvagi e quelli che camminano su sentieri oscuri che esiste la speranza.

Innanzitutto buio. Tremendo, rumoroso buio, capace di portare anche al cuore più nero un senso di abbandono e solitudine, quasi come una prigione mentale, piena di mostri della mente, pronti a divorare tutto quello che resta della tua umanità. Se questa è veramente la morte, se questo è il vuoto che tante culture venerano con paura e timore, devo dire che è malvagio, molesto ed osceno.

Poi, quasi a comando, la luce. Prima una piccola fiammella, che cresce, divorando le tenebre e le aberrazioni nascoste nella notte. Gordo lo Spietato, Anuk il Forte e tutti i demoni che abitano le tenebre ne scappano, rifuggono quella fiamma, che pian piano cresco, fino ad assumere orgogliosa il rango di luce. Calda, solare, piena di vita. Pronta a fare quello per cui è stata pensata. Illuminare.

Ma illuminare cosa? Le tenebre non hanno forma, non hanno sostanza. I miei occhi non possono concepire che ci sia qualcosa nelle tenebre. Ma io ci sono. E se esiste la luce, e io posso vederla, vuol dire che esistono almeno altri 2 elementi imprescindibili della realtà. Lo spazio e il colore. Non esiste più il nero, quel colore pieno di colpe e vergogne, dove gli atroci delitti vengono compiuti, ma esiste il colore della fiamma, la sua vitalità e lo spazio che essa illumina. Oltre a quello niente. Il buio e i demoni.

L’assenza di rumori è la cosa che colpisce di più, quasi offende i sensi, dona e obbliga a piegare la testa in avanti, a rannicchiarsi e piangere, su quello che si è, su quello che si ha fatto in vita e su quello che si ha lasciato dai vivi.

Ma questo cos’è? E’ duro, pieno, consistente. Lo tasto con i piedi, con quella curiosità che mi distingue dalle tenebre che mi circondano. Credo sia il suolo. Quindi la terra esiste, e anche il fuoco. Per forza devono esistere anche i loro opposti, che li rafforzano e li distruggono, in un vortice che noi chiamiamo eternità. Improvvisamente mi viene sete. Il solo pensiero dell’acqua mi fa piegare sulle ginocchia, in preda ad atroci crampi allo stomaco. BERE!

La fiamma si muove del mio dolore, cerca di liberarsi dal supporto etereo che la sorregge.

Si muove, lasciandomi nelle tenebre e nella vergogna. Si sposta per un po’, indecisa su dove andare, come una formica di fronte a troppo cibo, come un coniglio, braccato da un branco di lupi. Essa di sposta, viaggia e vola, attraverso la tenebre, mostrando aberrazioni che i miei occhi non possono sopportare, e che non posso descrivere. La vergogna cade su di me e su quello che vedo, lasciandomi sporco e sudicio, pieno di rimorso e rimpianto su quello che ho fatto. Perché mi sono convertito al Tempio? Perché ho seguito la Triade? Perché ho combattuto i miei compagni, tradendo e nascondendo la verità ai loro occhi? Tutto quello che ho fatto aveva un secondo fine, ero pieno di invidia ed accidia nei confronti di quelli che almeno mi proteggevano. Sono sicuro che qualcuno mi ha anche rispettato in quella vita. Anzi nella Vita. Questa di adesso non è vita, è un cupo esistere che ti porta avanti nell’eterno, o almeno fino a quando la luce non svanisce. Senza la luce i demoni possono ritornare, e sento il loro affanno e la loro fame dentro di me. La loro superbia e il loro desiderio di divorare anime non ha mai pace, sono deformi creature che si aggirano nelle tenebre e nell’ombra, pronte ad accrescere il loro potere a discapito degli altri, di noi poveri esseri viventi, che sono stati catturati dall’ombra. Noi siamo i veri dannati, non possiamo far nulla se non piangere sulla nostra esistenza, con il desiderio e il sogno di morire veramente, il prima possibile, prima che la follia ci renda schiavi di questa esistenza, prima che noi stessi non diventiamo demoni, ombre o spettri dannati.

Dov’è la luce? Dove è finita la mia unica fonte di ragione?

Dopo pochi attimi la vedo, in lontananza, quasi al limite del mio campo visivo. Essa illumina una fonte, pronta a soddisfare il mio desiderio d’acqua. Essa è grande quanto un uomo, e può contenere benissimo un adulto, consentendolo di immergersi completamente.

Mi avvicino.

La fonte è grande, bella, piena di un’acqua strana, luminescente e con una strana luce propria, come se la luminosa essenza di qualche fata abbia deciso di alloggiare in questo posto, come se il destino avesse voluto che quest’acqua assolvesse uno speciale compito.

Per la prima volta riesco a vedermi. Sono lercio, pieno di tagli, sporco e vestito di stracci. Ma la cosa non mi preoccupa, perché non c’è nessuno. Però vedo altro. Mi vedo traslucido, pieno di un’energia che lotta per mantenermi in piedi, vivo e cosciente. Si dipana dal mio cervello e dal mio cuore, per arrivare fino alla punta dei miei capelli. Mi vedo dentro, come quegli strani pesci trasparenti che vivono gli abissi del mare. Lo spettacolo che mi si para davanti è straordinario e inquietante. La mia luce è piena di buio, di luminescenze oscure che di librano dentro di me, con forme tentacolari. Riesco a vedere questo cancro che con forza e coraggio cerca di uscire e prendere possesso di me. Tutte le mie bugie, i miei delitti e i miei misfatti hanno lasciato una tacca dentro di me, che pian piano ha preso la forma di questo mostro tentacolare, senza forma e senza età, lurida escrescenza di quel male che tiene il mondo prigioniero.

Deve essere eliminata.

Ma come posso eliminare questo male? La domanda, una volta formulata, trova risposta immediata. E’ logico, solo dentro la fonte il mio male può essere curato, solo dentro l’acqua posso trovare pulizia e pace.

Mi immergo.

Dolore. Un dolore atroce mi pervade. L’acqua gelida penetra dentro di me, mi attraversa come una tempesta di neve, piena di atroce dolore, di freddo, di bianco. Chiudo gli occhi e grido. Finalmente, dopo un tempo pari all’eternità scopro l’esistenza dei suoni, allora questo posto è reale.

Mi sveglio di soprassalto dal mio grido e guardo. Il mio corpo è nuovamente consistente, pieno di vita e senza colori neri. Le mie vesti luride si sono dissolte e posso alzarmi dal bacile, nudo e senza vergogna. Il mio corpo glabro non percepisce freddo, ma solo l’acqua che gocciola piano piano, formando una pozza attorno a me. L’acqua è tornata opalescente e luminosa, evidentemente soddisfatta del suo operato.

All’improvviso il fuoco, che mi è sempre rimasto accanto, esplode, in un tripudio di luce e colore. Forma un anello sopra la mia testa, e si allarga all’infinito, allontanando e distruggendo i demoni della notte, che fuggono gridando il loro dolore, l’unica sensazione che non hanno mai provato. Il fuoco si allarga pian piano, mostrando quello che prima mi era nascosto. Una sala di vaste proporzioni si mostra attorno a me. Di forma ottagonale, presenta su sette lati delle gradinate di marmo bianco, composte da sette file di sedie, che mi circondano e all’improvviso si riempiono di creature luminose, piene di luce e di beatitudine. L’ottavo lato è vuoto, tranne per uno scranno ciclopico, enorme, apparentemente vuoto.

Inizio a pensare che il mio corpo è nudo, e provo vergogna. Appena il mio pensiero esce dalla mia mente, una forte bufera di neve mi investe, senza provocare in me la minima sensazione di freddo. Anzi, è calda e piacevole, mi avvolge come le ali di un cigno, dandomi riparo e protezione. Per un attimo i miei occhi sono velati, e non vedo quello che accade attorno a me. Non appena li apro, mi scopro vestito di candide vesti, nuove e immacolate. La seconda cosa che vedo è che lo scranno si è riempito, per contenere lui, il Potente.

La vista mi si abbassa, calano gli occhi fino a terra, dove mi accascio prono, pieno di timore e pianto.

Sommo, perché piango?

Non lo immagini?

Il mio corpo? Sono morto? Perché provo dolore alla tua vista? Perché la fonte, perché?

Pensa.

Le mie colpe sono responsabili del mio dolore?

Le tue colpe sono dolore, ma sono gioia, responsabili delle tua redenzione. Senza le tue colpe tu non saresti qui al mio cospetto, senza le tue colpe non potresti parlare con me, senza le tue colpe non potresti andare avanti.

Dove?

Indietro, verso quelli che ti sono stati vicino.

Perché mi vorrebbero indietro?

I miei seguaci sono disposti al perdono. Loro stessi sono maturati in tua assenza, qualcuno mi ha visto addirittura, ha contemplato la mia saggezza, il mio potere, il mio dominio. Ti accetteranno se tu sarai con loro sincero, a cominciare dal tuo nome.

Il mio nome? Cosa centra?

I nomi sono potenti, sono l’essenza stessa dell’essere. Senza nome non esisti, senza nome non sei nessuno. Falsi nomi e identità ambigue sono fonte di inganno, di male. Tu hai visto la forma del male, come ti corrode dentro, ti rende schiavo delle sue malie, ti rende incapace di essere indipendente. Ti condiziona, portandoti al Vuoto e alla follia. Hai avuto un assaggio di quello che ti avrebbe atteso alla fine dei giorni, adesso hai la possibilità di prendere parte alle mie schiere. In cambio voglio da te sono una cosa.

Cosa?

Torna indietro, rimedia al male che hai fatto e vivi secondo giustizia. Non ti chiedo di essermi devoto, ma di sostenere coloro che hai intralciato e distruggere il male che hai creato e che imperversa sulle terre. La Triade non può vincere, il Male non può dominare e gli dei non possono intervenire. Dovete gestire voi il mondo, dovete far luce nelle tenebre, nella notte dell’anima, e portare giustizia. Ora va, e non tornare fino al compimento della tua missione. Tieni le vesti e rendi la tua esperienza pubblica. Parla con i miei seguaci, i miei servitori e se vuoi con i loro amici, i tuoi amici. Ti supporteranno e ti aiuteranno nel momento in cui vacillerai. Sei pronto?

Andiamo.

3 di 3

Ad un certo punto Irja si riscosse. Non dico che non fosse stata con noi, solo che il suo sguardo era assente, voltato verso mondi che noi non potevamo capire ne fare nostri, verso dimensioni della realtà che a noi possono sembrare esotiche e grottesche. Quello che disse non ci stupì: DOBBIAMO SEGUIRLO.

Con grazia e naturalezza si spogliò, rimanendo solamente con una grezza maglia di cotone a coprire la sua nudità, e si immerse nella fredda acqua che riempiva la pozza. Dopo pochi attimi che a noi son sembrate ore, lo corda con cui era assicurata, nel caso succedesse qualcosa di malvagio tornò da noi, visibilmente vuota.

Con impeto quasi animalesco Thor si tuffò in acqua, per recuperare l’amica. Io e Cora, dopo un attimo di esitazione – siamo entrambi deboli, non propensi a nuotare, ci tuffammo.

Il nero dell’acqua ci riempì di sgomento, mentre la pallida luce che danzava alle nostre spalle illuminava debolmente l’acqua. Procedendo a tentoni, con la paura di scomparire per sempre e oltrepassare il vuoto del mondo, ci dirigemmo verso Irja, procedendo al massimo delle nostre già deboli forze. Sbucammo anche noi dall’altra parte, insieme a tutti gli altri.

Nero. Mostruosamente nero. Solo la presenza dell’acqua indicava una direzione. Pian piano ci issammo sopra il livello dell’acqua e trovammo davanti a noi il buio. Un piccolo borbottio da parte mia e la punta del mio bastone cominciò a rifulgere di luce, calda luce solare. Davanti a me c’era Thor, che correva verso Irja, seduta accanto ad una porta, visibilmente seccata dall’illuminazione che tanto giovava al resto del gruppo.

La porta era evidentemente chiusa. Molto scortese da parte sua.

Cora si avvicinò con il suo solito passo leggero e armeggiò per pochi secondi con la serratura, grazie alla luce della mia torcia improvvisata. La porta devo dire che si comportò bene e non oppose resistenza. La essa un lungo corridoio si allungava nelle tenebre, lungo direzioni a noi sconosciute. Dopo un tempo che sembrò infinito, sentimmo un odore immondo provenire dal basso, segno che il corridoio somigliava orribilmente ad una fogna. Per poco Cora non affondò in quello che in molte culture viene considerato rifiuto non utilizzabile e i contadini lo utilizzano come fertilizzante, il cui nome non pronuncerò, per non ferire i vostri padiglioni auricolari. Sterco.

Dopo un po’ la luce. Eravamo arrivati in mezzo al bosco, in una piccola radura contenente un laghetto, fatto per ospitare i rifiuti proveniente da Hommlet. La cosa più interessante era che le tracce di quello che pensavamo fosse il giudice Goldwing si dirigevano verso la vecchia torre di guardia, evidentemente abbandonata da secoli.

Dalla torre si dipanava un alone, formato da un cerchio di torce che circondavano la radura, illuminando quasi a giorno la zona. Nella radura un mucchio di esseri umani caricavano materiale su un carro, berciando e gridando in un linguaggio che all’inizio non sembrava neanche provenire da questa terra.

Mi avvicinai, tramutato da un mio sapiente incantesimo in una nuvola di gas fluttuante. Scoprii che parlavano in Goblin, cercando di incitarsi a vicenda a caricare il carretto. Notai che tutti erano vestiti di ocra, tranne un umano che si rifugiò all’interno della struttura, circondato da un drappo di colore viola.

Dentro la torre non c’era niente, solo una struttura abbandonata e bruciata da secoli. Gli uomini stavano caricando il carro con delle casse provenienti da un sotterraneo. Mentre mi avvicinavo alla botola, tornai visibile. Maledetto campo anti-magia!!! Per fortuna ero riuscito a mascherarmi con un drappo ocra che avevamo recuperato alcune settimane fa, altrimenti non sarei qui a parlare di questa storia.

Dopo un po’riuscii a scappare verso i miei amici, nel bosco. Dopo un piccolo battibecco su cosa fare, decidemmo di tornare in paese e parlare con Rufus di quanto succedeva nel bosco.

Non ci vogliono ricevere!

Goldwing è a capo della città!

Bertrand è nella locanda!

Le cose iniziano a farsi confuse, i giorni si mescolano.

Rufus ci riceve.

Goldwing non è il capo della comunità.

Bertrand legge il libro troppo in fretta.

La cosa è abbastanza sospetta.

Sembra quasi che abbiamo perso un giorno. Il problema è dove! Sembra che tutta la zona sia soggetta a variazioni locali temporali, sempre più marcate. Se prima mancavano delle ore, adesso mancano dei giorni interi. Decidiamo di cercare Bertrand.

Per disgrazia mi allontano da solo nella locanda. Ovviamente sono precipitato in un altro tempo, ma spero che i miei amici mi conoscano già, così posso in qualche modo “ricominciare”.

3 anni avanti.

150 indietro.

50 indietro. Conosco Bertrand da giovano, è un novizio sbarbatello. Lo avverto del pericolo che potrebbe affrontare tra 50 anni. Gli dico di cercare il libro e distruggerlo prima che accada qualcosa di malvagio. Non mi crede. Ormai è ovvio che la causa scatenante di queste cose sia il libro stesso. Come Goldwing modifichi il tempo attraverso esso è ancora oscuro, forse è lui l’emanazione materiale del libro stesso, responsabile delle modifiche temporali. Può essere. Lui è il libro, evocato dalla magia stessa che riempie quelle empie pagine.

Di nuovo 150 anni indietro.

Aspetto.

2 giorni fa! Incontro i miei amici nel passato. Il libro è già stato aperto, ma le modifiche di tempo non sono ancora in atto e il giudice ci aspetta dentro la casa del rilegatore. Avverto i mei amici del tutto. Sono tutti sconvolti, anche se Irja sembra capire quello che dico. Preparano un piano di battaglia, in modo che il giudice non possa scappare!

1 giorno fa.

Sono stato di nuovo catapultato casualmente dentro il passato, ma ad una distanza accettabile. I miei amici hanno vagato nel tempo anche loro, finché ci siamo trovati in questo posto, in questo luogo. Ci deve essere qualcosa che possiamo fare. L’unica cosa che sappiamo e che la torre non è stata ancora svuotata, e che probabilmente il giudice è li che orchestra tutto. Dobbiamo muoverci, perché c’è il rischio che veniamo catapultati in un’altra epoca, dove non potremmo fare niente. Speriamo che Goldwing ci segua in questo viaggio temporale, altrimenti non lo troveremmo mai.

La torre è integra. Forse viaggiando nel bosco siamo tornati indietro, perché non è stata ancora distrutta dall’incendio. Chissà chi mai le darà fuoco…

Entriamo nella botola, dove ci attende una lunga serie di corridoi, pronti a farci perdere. Individuo velocemente eventuali fonti magiche, che ci portino dal giudice. Seguendo gli angusti corridoi passo davanti a quelle cose che verranno caricate nel carro tra qualche anno, per essere portate chissà dove.

Una porta.

Gentilissima anch’essa, si lascia aprire con estrema cortesia.

Oltre essa, una vasta sala, con 2 altari. Ci aspettano. Goldwing, il rilegatore e una decina di scagnozzi, pronti a farci la pelle.

Lo scontro dura poco. Il fulmino uno sgherro che aveva cercato di avvicinarsi un po’troppo, mentre il giudice cade ai nostri piedi, colpito a morte dalla furia di Thor. Il resto è storia.

Scompare tutto.

Torniamo in quello che potrebbe essere il nostro presente. La stanza è deserta, i corridoi son deserti, gli oggetti sono stati portati via. Saliamo in superfice. La torre è ancora integra, segno che con il passato non abbiamo ancora chiuso, che la nostra presenza in un altro tempo ha lasciato le cose variate. Ciò non va bene. Bisogna sempre che il passato non cambi, altrimenti le conseguenze sul futuro possono essere disastrose.

Muovo docilmente la mano, con noncuranza, come stessi allontanando una mosca troppo insistente. Un gesto segreto, imitato più volte da voltagabbana e vagabondi, che hanno cercato inutilmente di spacciarsi per maghi o incantatori.

La torre esplode, in un tripudio di fuoco, mentre l’intera struttura viene annerita del fuoco. Noto con soddisfazione un sorriso sulla bocca dei miei amici. Adesso possiamo andare avanti.