Spostati Nano di Merda!

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martedì 25 ottobre 2011

[Anatema della vita] 6. La città della magia

Il santo padre Sanction Solas raccontò loro una storia. La storia cominciava così:
La via per la città della magia è ignota e impercorribile per tutti tranne coloro a cui viene raccontata.

A seguire sulla mappa la strada che realmente percorsero in meno di due giorni si rimarrebbe esterrefatti, perché non v'è creatura, sulla terra o nel cielo, che potesse coprire una simile distanza in così breve tempo, usando le proprie gambe o ali.
Per quasi tutto il viaggio, lo gnomo s'era trastullato con un gingillo che padre Soulas gli aveva donato, e taceva. Certo essere accompagnato da quello gnomo nel silenzio dei passi sul sentiero pareva assai strano. Più che strano innaturale.
Xanthia, statuaria nella sua armatura splendente, osservava lo gnomo e, giunti presso l'imbocco del ponte, infine chiosò "armonia".
Lo gnomo le dedicò un placido sorriso. La donna contraccambiò con un'espressione dolce degli occhi.

Kondar spiegò quella sensazione come un normale effetto derivante da antichi artefatti posseduti in tempi antichi dagli antichi dei quando erano sia loro che il mondo stesso già antichi. La sovrabbondanza del termine "antico" nel lungo discorso del nano disturbò non poco l'Eroe, che non perse l'occasione per rinfacciargli una limitata capacità dialettica, ma rese altrettanto bene l'idea di quanto raro potesse essere quell'oggetto. E inestimabile.
Si stupirono tutti a pensare come un oggetto del genere potesse trovarsi in un villaggetto di cui già s'erano scordati il nome, così come già non sapevano dove indicarlo sulla mappa. Anche il ricordo del nome dell'umile sacerdote che li accolse cominciava a scemare: Solias, Salos, Salor. Non ne erano più convinti.
Soltanto due ammennicoli e un'informazione potevano testimoniare il loro passaggio: i due grezzi pendagli al collo di Xanthia e dello gnomo, e la direzione verso Tanimura, la città della magia.

Nella terra dei tre re gemelli, venne indetta una grande festa, perché finalmente erano state trovate tre spose gemelle per i loro re.
Grande fu la contentezza del popolo intero, che decise di accorrere tutta alla capitale.
E i re gemelli nella loro grande saggezza decisero di edificare una nuova via d'accesso, erigendo un maestoso ponte sulle magiche acque che inanellavano la città. Tale ponte fu stimato nella misura di 135 leghe e alla sua estremità fu innalzata una porta di cui si raccontava non esistesse architrave, robusta eppure tanto finemente lavorata che pur un bambino poteva aprirne i battenti.
Siccome tale ponte era unico e di così squisita fattura che non se ne intendeva guastare la bellezza edificandone uno identico, le colline che s'affacciavano sulle magiche acque furono coltivate con alberi da frutto, i cui filari si dipartivano a raggiera verso ogni destinazione entro il regno, cosicché chiunque potesse trovare l'accesso al ponte. Tali alberi erano tutti figli della pianta incantata detta Maes per le sue immense dimensioni e Thio per la sua capacità di rigenerarsi, i cui rami dello spessore di un toro adulto avevano fornito il mattone con cui era stata edificata la torre della capitale.
La festa era prossima al compimento e ogni altro reame aveva già fatto giungere i propri doni per i novelli sposi: acrobati e circensi, dei lignaggi e delle razze più disparate, gli energumeni del nord come i prestidigitatori del sud, riscaldavano di vita le sale del castello e le strade della città; animali di ogni forma e colore, di ogni luogo e di ogni tempo, pascolavano nel vasto giardino che molti chiamavano Mondo, perché in esso vi erano contenuti foreste incantate e prati profumati, tiepidi deserti e infine mari, le cui magiche acque erano state poste a guardia della città.
Le descrizioni della magnificenza della festa divennero molteplici e ci furono persino coloro che si smarrirono a rimirare il Mondo, perdendo ogni cognizione di tempo e spazio, oltre alla festa in sé.
Ma questa era la volontà dei re gemelli: che ognuno trovasse ciò che più lo affascinava e che potesse godere di quelle visioni.
La penna di pavone scribacchiava rapida e leggera sulla pergamena, guidata dalla magia dell'Eroe e turbata a tratti dallo spirito dello gnomo che più che seguire la narrazione si divertiva a mettere l'Eroe in difficoltà.
Come il racconto finì, il santo padre si sincerò della salute e delle intenzioni dei cinque membri del pentacolo e subito li congedò, lasciando l'Eroe istruire i suoi compagni sul significato nascosto di quella storiella. Fortunatamente, i quattro godevano pienamente della serenità derivante dalla reliquia.

Oron'Harda - Reame di montagna

Oron'Harda

La cittadella elfica di Oron'Harda (che significa reame di montagna) è situata a Nord, su uno dei picchi più alti ed isolati della Grande Catena Montuosa. E' un paese la cui popolazione raggiunge i 3500 abitanti, tra elfi, elfe e bambini. La principale caratteristica di questo paese è che sembra, ad un primo ed inesperto sguardo, molto più piccolo di quanto sembri, in quanto ammantato da una potente aura di illusione che lo protegge da sguardi indiscreti. La maggior parte della popolazione è in qualche modo legata alla magia: vi sono maghi, e solo maghi, artigiani magici, divinatori, guardie ed un piccolo esercito fisso composto da circa 500 guerrieri che protegge la città dall'esterno. La politica della città è molto semplice: sono secoli che vive pacifica nella sua solitaria locazione, senza che gli eventi del mondo circostante la sfiorassero o invadessero: qualora si fosse verificato un fatto di importanza tale da richiedere l'impiego, o anche solo il parere, del divinatore, la figura più eminente della cittadella, allora essa si sarebbe prodigata secondo le proprie possibilità. Il Divinatore, il cui nome è Arbaiur ( = vecchio saggio), è la figura più antica, potente ed importante della città (è un mago specializzato in divinazione, vedi tu il livello), e le cui decisioni determinano il comportamento dell'intera popolazione: al suo comando vi è la legione di 500 elementi, tra maghi specializzati nel combattimento e guerrieri arcieri. La cittadella si sviluppa sul versante che domina la valle, in modo tale da averne il controllo visuale, e dimodochè Arbaiur, semplicemente il Saggio, possa divinare con il suo studio orientabile verso il quasi intero orizzonte. Un robusto muro composto di roccia e legno protegge la città, al di là dell'illusione iniziale, che si sviluppa a spirale, ascendendo verso il suo centro, costituito dagli alloggi del Saggio, costruiti in modo che una sola strada conduca ad essi, ma un numero imprecisato vi si allontanino. Salendo per la spirale si trovano le abitazioni della popolazione, costruite in solida roccia intarsiata internamente da legni pregiati, e si segue una strada battuta molto finemente, con i canali per l'acqua piovana che conducono tutti a delle cisterne che hanno i loro sbocchi all'ingresso della città, espediente molto utile per spazzare eventuali invasori simulando una piena o una valanga. Tutti i tetti delle case sono spioventi per evitare crolli durante il freddo e nevoso inverno, non vi è alcun mezzo di trasporto che non sia qualche cavallo bianco con bardature argentee all'interno della città. Più si sale di livello nella spirale, maggiore è la ricchezza nelle abitazioni e nelle botteghe. La città trae sostentamento dall'agricoltura, praticata in delle strutture all'apparenza piccole, ma che all'interno custodiscono potenti incantesimi di controllo del tempo atmosferico, e di allevamento, praticato in altre strutture che funzionano con lo stesso espediente. Proseguendo e salendo per la strada, detta Taloth ( = il sentiero) si trovano armerie, botteghe di sarti, artigiani, fabbricanti di bacchette, verghe e bastoni magici, fino ad arrivare all' abitazione del Saggio, detta Baralat ( = dimora alta): una grande costruzione in pietra bianca, con un grande portone a delimitarne l'ingresso: sulle mura si notano solo piccole feritoie, non vi è nessuno a guardia, all'apparenza. Ogni abitante dei Oron'Harda sin da quando diventa adulto conosce la parola che apre il cancello, semmai un impostore ne venisse a conoscenza, le guardie all'interno farebbero il loro dovere: l'atrio dell'ingresso è di forma circolare, dominato da un camminamento semicoperto, dal quale sporgono 20 arceri. Inizialmente non vi è nessuna porta, a menochè non si superi la registrazione, ossia il riconoscimento da parte di Jellarim ( = occhio), un vecchissimo elfo (dovrebbe avere almeno 6-700 anni) cieco, che semplicemente toccando e scrutando il visitatore ne determina l'appartenenza o no al villaggio. (anche Jellarim è un divinatore, specializzatissimo, sa fare solo quello!). All'interno del palazzo non vi è sfarzo, ma vi è sicuramente buon gusto e nobiltà: stupendi arazzi ritraggono la vallata di un millennio fa, dipinti e statue rappresentano le antiche battaglie tra le divinità ancestrali. Uno stuolo di servitori elfici, silenziosi e magici, si muove in tutte le direzioni, vi è un solo elfo, tangibile, Vartah ( = la guardia), accompagna chi arriva e fa gli onori di casa. All'interno di Baralat c'è la biblioteca, una delle più ricche, rinomate quanto sconosciute in assoluto, la scuola di magia e lo Yetille ( = osservare), il punto da cui il Saggio compie le sue previsioni. E' importante dire che il saggio scruta la Magia, non le divinità, le stelle o il fato.

Mir è figlio unico, proviene da una lunga tradizione di maghi: suo padre Laike ( = sveglio, acuto) era un mago, suo nonno Fim ( = intelligente) era un mago e così via. L'abitazione di Mir si trova poco al di sotto della Baralat, la famiglia è sempre stata benestante, gli ha permesso di studiare nella Baralat e gli ha sempre fornito tutto ciò di cui aveva bisogno. E' molto difficile trovare famiglie numerose nella cittadella, ogni coppia di elfi mette al mondo un solo elfo, mentre invece non vi è limite alle elfe: una coppia continua a procreare figli finchè non nasce un maschio, nel caso di Mir, egli è il primo ed unico genito. Laike è un padre severo ma buono, ha sempre preteso il massimo da Mir, lo ha sempre tenuto come si custodisce un dono molto prezioso. La madre di Mir si chiama Ithelel ( = stella limpida) ed è un'elfa abbstanza alta, di grande eleganza, con occhi viola e capelli argentei, anch'essa maga molto rispettata.

Più di metà della popolazione è femminile, le migliori artigiane sono elfe: producono bacchette, oggetti magici e verghe; i bastoni invece sono prodotti esclusivamente da elfi, così vuole la tradizione oramai millenaria della città.
La cittadella è contraria all'avvento di stranieri, a menochè non siano accompagnati da un abitante, che prende il titolo di Thur (guida), e ne ha la responsabilità assoluta. Se accompagnati, gli stranieri sono accolti in maniera educata e premurosa, senza che però non si perda mai la nobiltà elfica. Tutti gli elfi hanno capelli dorati o argentei, con occhi viola o blu. Gli abiti sono eleganti ma non sfarzosi, ricchi ma non ostantanti. I bambini sono molto composti, non ve n'è nessuno per strada da solo, tutti sono accompagnati e tutti hanno un compito: chi raccoglie foglie, chi legnetti.

Un ringraziamento a Tony

[Anatema della vita] 5. Locazione

XXVII giorno.
Un dispaccio giunse dal pentacolo a cui apparteneva il prode Bertrand de Rocherbrune.
Ivi v'era riportata l'ubicazione di una grotta e l'intero pentacolo si considera sicuro nell'affermare che quella fosse una delle tre sedi del negromante così come citate nella mappa, ovvero la grotta delle perversioni.
Il dispaccio accludeva alcune prove o dettagli a rafforzare quanto detto nel messaggio. Le prove o dettagli erano così riportati.
Per la gloria di Heironeus nel nome del quale vivo et laboro, il luogo è stato indicato sulla pergamena con precisione secondo la posizione delle stelle fissate nel cielo dal mirabile Pelor, da cui abbiamo ricevuto grande benedizione per la presenza tra noi del suo protetto di nanica stirpe.
Come da dispaccio consegnato brevi manu da me medesimo, nell'istesso giorno in cui il saggio et sommo sacerdote di Ayndril distribuiva ordini et doveri a noi tutti, in tale locazione v'era una grotta la cui descrizione coincide con la da voi fornita mediante la succitata pergamena.
Entro luogo tanto empio, è stata incontrata, affrontata et vinta una manifestazione, probabile stirpe od eredità del negromante istesso, sotto forma di donna dall'età indefinibile intenta in un qualche maleficio di natura mortifera, et assassinio di giovane et casta pulzella, soccorsa et salvata. Il tempo, come già iscritto nel precedente dispaccio, non ha permesso una conseguente et immediata purificazione del luogo, nella certezza di un nostro presto ritorno, avvenuto soltanto in data odierna secondo la posizione della stella magna nel tempo della massima luce.
Ad ora, è nostro testimonio l'assenza di tale caverna nell'istessa locazione.
Ad argomento favorevole alla giustezza della locazione, v'è la posizione di tombe gemelle all'esterno della caverna, edificate da me medesimo et padre Kondar della stirpe nanica subito dopo aver abbattuto et vinto la manifestazione negromantica, in segno di rispetto della vita di una coppia di pulzelle uccise da tempo dalla predetta stirpe malefica.
Non avendo trovato altra traccia et non udendo eco né d'energia arcana, né mistica (fosse del santo Heironeus o del crudele Hextor), siamo partiti verso altra destinazione secondo il nostro sacro mandato. Ma spediamo a voi, benedetti dagli dei per saggezza et prontezza di spirito, questa canoscenza et una richiesta di perdono et una preghiera.
Secondo la succitata pergamena, l'infera grotta ha desiderio a rendersi accessibile nello stesso luogo, con cadenza ignota ma misurabile. Tale locazione è tuttora empia et sazia di malvagità per causa nostra, ma può essere liberata et santificata dalla vostre forze.
Non lasciate tale locazione sine custodia!

XXXIII giorno.
In tale mattinata, benedetti da un sole tiepido come non si vedeva da settimane, una legione con i ranghi completi e i suoi 5454 uomini, partì dalla rocca di Lahtaa a nord-ovest della capitale alla volta della "locazione" indicata dal dispaccio.
Alla testa, il magnifico Er Iromi D'Aruap, la cui assenza tra i pentacoli fece molto parlare ma che risultò una benedizione per un compito tanto delicato.

XLV giorno.
La legione di Er Iromi D'Aruap giunse nella "locazione" indicata da Bertrand de Rocherbrune e fissò il campo attorno alla coppia di tombe erette dallo stesso Bertrand e il sacerdote Kondar.
Non v'era alcuna traccia della grotta, ma le schiere di chierici e devoti percepiva un'irrequietezza nelle ossa dei morti, così abbondantemente sparse nella terra tutto attorno a quel luogo.

LI giorno.
Questa missiva arrivò con molto ritardo, perché non usò alcun piccione o pennuto per il rapido trasporto di messaggi, bensì tramite un cavaliere d'alto rango ma di altra legione che pattugliava la zona pedemontana, prossimi alla "locazione" della grotta.
Ciò che vi era scritto non venne riportato in nessun altro luogo perché vi sono cose che i nostri figlio non devono mai conoscere.

[Anatema della vita] 4. Negromante...ssa

"Il Negromante ha a disposizione almeno tre luoghi dove poter rifugiarsi: alla testa delle sue armate, nella sua rocca tra i suoi libri o nell'anticamera della dannazione, la grotta ove è solito commettere gli atti più scellerati."
"Per essere una mappa è fin troppo dettagliata! Senti, o grande Eroe, e dove starebbero di preciso questi luoghi?"
"Cos...? Non capisco a che possa servire un'informazione del genere a te, nano... Mh, tanto più che non lo riporta."
"Inutile pezzo di carta straccia. Mi ci posso pulire le chiap..."
"Contegno gnomo! Abbiamo nobili compagni di viaggio, tra cui una rappresentante del genere che merita più di tutti rispetto: bada ai tuoi modi."
"Di certo non intendevo mancare di educazione verso...", lo gnomo perdeva il filo del discorso ogni volta che rimirava negli occhi Xanthia di Sivelune, occhi del colore dell'argento come la luna da cui prendeva il nome. "E... e... e, poi, non mi pare che il nostro mastro nano..."
"Sacerdote, sono un sacerdote! Perché tutti i nani devono essere dei mastri?!"
"... il nostro sacerdote nano sia di nobili stirpi."
"Si riferiva a me, testa rossa". Era l'Eroe che parlava.

L'Eroe, al secolo o forse al millennio Myr, aveva ottenuto questo soprannome, non certo un titolo, per alcune imprese davvero impressionanti: le solite cose che fanno impazzire di giubilo una corte reale e riempiono la bocca degli avventori delle locande; finanche i libri di storia riportano questo genere di imprese, ma non sempre dietro un poderoso fumo si cela un immenso arrosto.
L'Eroe si era presentato davanti a tutti i 15625 pentacoli sul destriero più bianco che paladino avesse mai strigliato, con quel giusto riflesso e bagliore nello sguardo che sacerdote avesse mai immaginato, con quel cipiglio attraente che mai donna avesse desiderato e con indosso le vesti più ricche e variopinte che gnomo avesse mai indossato.
"Ci sa fare il ragazzo", commentò lo gnomo. "Come una trota su un porcospino", rispose acido lo stesso gnomo.
Il nano (e lo gnomo) aveva le idee chiare al riguardo, ma in quanto eran tutti e cinque membri dello stesso pentacolo e per imposizione del sommo sacerdote insigniti di sacra missione sotto la supervisione del granitico Bertrand, non v'era tempo per questionare sui titoli, veri o supposti che fossero.

L'ordine sacro e reale per ogni pentacolo fu categorico: senza ausilio di mezzo o bestia alcuna, ogni pentacolo doveva recarsi secondo quanto la propria intuizione indicava alla volta del negromante e, ovunque esso si trovasse, affrontarlo, annientarlo e riportare traccia del proprio successo. Pelor e Heironeus profondevano copiosa benedizione su ognuno dei valorosi e la salvezza delle loro anime in caso di insuccesso. L'insuccesso, fu precisato, poteva essere uno soltanto: la morte dell'intero pentacolo per mano del negromante o delle sue schiere.
Ai pentacoli non fu data possibilità di scelta, né fu lasciato discutere i mezzi necessari: a ogni gruppo fu consegnata una mappa, copia di un'antica mappa prelevata da un tomo vecchio di dodici secoli. Tanto era antica la minaccia del negromante.

"L'unico accenno che fa è che la caverna si manifesta ciclicamente in alcuni luoghi. Lo si desume chiaramente da questi glifi in draconico, suppongo un sottostile della stirpe ambrata, un incrocio tra eredi dei draghi bronzei e quelli rossastri, ormai inesistente, o dovrei dire debellata, falcidiata dalla mano... chiedo venia, dalla lama degli uomini. Dico giusto, gran cavaliere Bertran?"
"Rimaniamo concentrati sulla nostra meta, sapiente Myr."
"Vai, Bert! Cantagliela a quello spocchioso."
"La caverna si manifesta, come già detto, nelle zone pedemontane, certamente in queste e queste regioni... e da quanto recitano gli antichi testi custoditi nella mia città natale..."
"mh mh", tossicchiò Bertrand.
"... dovrebbe avere l'aspetto lugubre di un ossario dal fetore di sangue marcio e putrescenza."
Il bagliore negli occhi dello gnomo assunse d'improvviso una tonalità scura e selvaggia. Afferrò il coltello dalla cinta e lo piantò sulla mappa inchiodandola al tavolo. La lama indicava la caverna dove settimane prima lui, Bertram, Xanthia e il sacerdote di stirpe nanica avevano salvato la giovane Camilla.
L'Eroe guardò i suoi obbligati compagni di ventura dissimulando perplessità con impertinenza.
Xanthia liberò la mappa dal morso del pugnale, che porse allo gnomo, e sfiorando il foro sulla pergamena, "qui v'era una negromante...ssa o come si potrebbe chiamare una - umph - donna che pratica certe cose contro giovani ragazze. La negromantessa non esiste più. Il luogo è stato bonificato e non è più una minaccia".
"Mirabile esposizione dei fatti, madama. Era dunque una donna il famigerato negromante? E se è stato sconfitto, come possono le sue legioni essere ancora all'opera? Siamo di fronte a un male ancora più grande e incontrollabile?"
"Oh, ne ho visti parecchi di creature morte ultimamente", borbottò il sacerdote, "e quei sgorbi di costole e carne che non mi arrivavano all'ombelico non erano certo tosti come i giganti che ho affrontato e distrutto in nome di Pelor".
"Ricordo che erano particolarmente inconsistenti, oltre che facilmente permeabili alla magia", lo gnomo mimava i movimenti con cui era riuscito a comandare e roteare quelle piccole creature. "E voi, adorabile Xanthia, non avete avuto alcuna noia a spazzarli via come spighe di grano, e l'odiata negromantessa è stata insidiosa ma di certo non all'altezza della fama del negrom..."
"Forse è stato sovrastimato il suo potere."
"Non dite sciocchezze, paladino. Siamo stati noi elfi a erigere le mura della sua rocca perché grande era la sua fama e la sua saggezza prima di divenire una minaccia! Voi uomini siete sempre pronti a elevarsi al di sopra ogni altra creatura... stolti e giovani umani..."

"V'è tristezza, Tam, nel cuore di quell'elfo", pensò lo gnomo. "V'è rabbia negli occhi di quell'elfo, Mat".

[Anatema della vita] 3. Primo incontro

I menestrelli suonano sempre dell'amore e di quanto potente esso sia. Dicono che superi ogni distanza, abbatta ogni impedimento e sovrasti ogni forza e con queste parole infiammano i cuori dei giovani e delle pulzelle di ogni terra.
L'amore dona la gioia e la vita con ogni parola, ogni sillaba, ogni lettera, ogni respiro.

Era dolce la melodia e tiepido il sussurro che riecheggiava da una grotta. Parlava di un giovane incontrato anni addietro, quando si era ancora ragazzetti, lui con i bei occhi intensi e le labbra già carnose, i capelli in ordine e le spalle robuste. Lui.
"Qual è il tuo nome, che è sfuggito il ricordo di quell'istante?"
"Qual è il tuo nome, mio giovane dio, o spirito, o incarnata essenza che sei tornata qui per me?"

"È una ragazza di non più di 16 anni, nessun tratto distintivo tranne una fluente chioma bionda..."
"Dev'essere bellissima...". "Oh be', ma mai quanto voi, o splendida apparizione... già, anche l'armatura è splendida o, piuttosto, splendente. In ogni caso, l'avete vista? La ragazza intendo..."
"Messer gnomo, vi pregherei nuovamente di non interrompere un paladino nell'atto di compiere il suo mandato"
"..."
"Mmh, bene. Ordunque, si domandava, madama, se per caso aves..."
"Scusami, stavo contemplando l'essenza della bellezza. Mi stavi dicendo qualcosa?"

La splendida apparizione indossava un'armatura che la copriva da capo a piedi, un'armatura per un nobile di qualche origine (gli stemmi incisi sul paraspalle recitavano una frase in un dialetto dell'ovest) ma di certo per un uomo non per una donna. Si vedevano chiaramente dei segni di lavorazione sulle piastre del pettorale che permettevano a una donna di indossare e proteggere un petto ben più prominente. La madama stava certamente indossando le vestigia di un parente, forse di un fratello o del marito, e questo parente non doveva esserci più.
"Dev'essere una storia molto triste, lo senti nell'aria e lo vedi negli occhi", pensò tra sè e sè lo gnomo, il quale si rispose "mentre di solito una donna dentro una gabbia di metallo, capace di roteare una palla di ferro grossa come la nostra testa, è del tutto normale?! Idiota!". Lo gnomo continuava a fissare la donna.
L'altra armatura semovente, di una fattura squisita, sebbene piena dei segni di scontri ripetuti e recenti, rispondeva a un nome importante: Bertrand de Rocherbrune, Cavaliere dell'Ordine maggiore dei Paladini di Ayndril. Strisce di capelli brizzolati gli davano un aspetto ancora più austero di quanto la sua postura e i suoi modi già non gli conferissero. Era un uomo severo e tutto d'un pezzo, ligio alla sua dottrina come lo gnomo aveva già avuto modo di sperimentare.
Lo gnomo, tutto all'opposto, era tanto difficile da comprendere quanto facile da notare: uno stretto e lungo ciuffo di un arancione carota che gli coronava la testa e uno scialle dello stesso colore annodato attorno al collo erano il centro dell'attenzione nella locanda. Solo qualche avventore sembrava più attento e preoccupato all'avvicinarsi del fondo del bicchiere, più specificatamente un gruppo di nani, probabilmente minatori in cerca di ristoro per la pesante e innaturale calura di quei giorni.
Be', forse non tutti quei nani erano minatori: tra loro ce n'era uno che dopo aver asciugato il fondo della sua coppa con la folta barba, benediva e disegnava sulla testa lucida dei suoi vicini un simbolo che tanto ricordava quello appeso al suo collo, il simbolo del dio del sole, il radioso Pelor.

[Anatema della vita] 2. L'adunata

Il sommo sacerdote raccontò la visione all'alto clero di Ayndril e condivisero la loro preoccupazione con il consiglio dei paladini. Questi, nella stessa sede, riportarono di numerose aggressioni da parte di schiere infinite di creature sorde, mute e cieche, che si trascinavano su membra marce e scarnificate, ma vivificate da un malanimo comune.
I paladini furono spediti ai cinque estremi del regno a riportare la luce di Pelor ed Heironeus, ma la terra continuava a dare verdura priva di sapore e frutta priva di colore, gli alberi crescevano privi di sostanza e i fiori non spargevano più alcun profumo; le madri di notte sentivano i loro figli piangere e ansimare per gli incubi e le nubi temporalesche che circondavano il reame erano immensi presagi di desolazione.

I paladini fallirono nel loro tentativo e la luce degli dei misericordiosi cominciò ad affievolirsi.
Quando tornarono alla capitale portarono con loro soltanto la lista dei nomi di coloro che erano morti, perché il corpo era andato a nutrire le schiere animate dei grigi nemici. Il sommo sacerdote diede, quindi, incarico ai suoi servitori scrivani di controllare tutti i nomi e assicurarsi che nessuno di coloro che erano morti si trovasse tra i 78125 da lui dettati. Così era.
Fu cosi` che il sommo sacerdote radunò nuovamente l'alto clero e il consiglio dei paladini e condivise la conoscenza dell'esistenza dei pentacoli. Alcuni dei nobili cavalieri impiegarono le loro estese risorse per indagare sulle persone dietro quella lista di nomi e di tutti i pentacoli selezionati non ne risultò uno anche solo manchevole di un membro, ma meno di un quarto di quei nomi corrispondeva a un cavaliere o un capitano di provata fama.
Allora, il più giovane dei paladini, spaventato dalle atrocità viste nei mesi prima e confuso da siffatte liste, prese la parola: "Signorie Vostre, ho assistito nel lontano est alla caduta della Stella del Mattino, al crollo del ponte di Magestillo e alla levata delle vestigia dei sacri Cavalieri di Apero dal cimitero dell'antica e maestosa abazia di Ywalik, smembrata pietra dopo pietra da quegli stessi cavalieri. Ho soccorso e poi abbandonato esanime il più nobile cavaliere di cui ora occupo il posto in questo consesso, perché le orde che ci circondavano erano di mille volte superiori a noi in numero. Vi pongo, quindi, quest'unico quesito: cosa possono 78125 persone di cui un quinto di umile lignaggio, senza un addestramento adeguato o capacità degne di nota, contro un male tanto potente?". Poi regnò il silenzio.

Il sole benedisse le finestre e le porte del Tribunale della Fede per cinque albe. Le guardie che custodivano come un unico cordone le porte non permisero l'ingresso di nulla, nemmeno acqua né cibo. E niente trapelava, né una parola o un grido si udiva provenire dall'interno.
Al tramonto del quinto giorno, un paladino divenuto di recente padre per la quinta volta, sedutosi accanto a una finestra, osservava malinconico il girotondo di alcune bambine nel vicino Convento delle Vergini. Le giovani vorticavano ed erano perfette nella loro unità: nulla sembrava turbarle, nulla sembrava insidiare i loro abbracci, nulla sembrava spezzare il loro legame.

"Per decreto del sommo sacerdote e dell'alto consiglio dei Paladini, si chiede a tutta la popolazione di recare il seguente messaggio fin nel più remoto angolo del regno: chiunque trovi il proprio nome presente in una delle liste affisse presso le chiese o i municipi o le caserme dei vostri villaggi è invitato a presentarsi entro la quinta luna dell'anno corrente davanti al sommo sacerdote in persona. Grandi pericoli incombono sulle vite di ciascuno di noi. Questo è un appello al vostro onore e grande sarà la vostra gloria in futuro."

[Anatema della vita] 1. La visione

Gli occhi si aprivano su una terra ingrigita.
Al centro del vasto territorio c'erano cinque giardini, ognuno in contatto con altri due.
Ogni giardino aveva un colore.
In ogni giardino v'erano cinque alberi da frutto disposti in cerchio uno accanto all'altro.
Ogni albero aveva un profumo.
Su ogni albero c'erano cinque frutti disposti agli estremi dei pochi rami che formavano una figura geometrica regolare.
Ogni frutto aveva un sapore.
Dentro ogni frutto c'erano cinque semi con la punta rivolta verso l'esterno esattamente su un vertice della stessa figura geometrica.
Ogni seme aveva una consistenza.
All'interno ogni seme si potevano intuire altre cinque forme.
Custodite in ogni forma si potevano immaginare cinque sogni.
E racchiuse in ogni sogno si potevano vedere cinque immagini.
Ogni immagine aveva un nome.

Quando il sommo sacerdote si svegliò, subito chiamo lo scrivano affinché prendesse nota di tutti i 78125 nomi. I nomi furono raccolti in gruppi di cinque e ogni gruppo venne definito "pentacolo".

We are come back!!!

A presto nuovi resoconti e nuove mirabolanti avventure!! ^^

intanto pubblico il Bg di Franz! ^^

IBERICAN

Il mio nome è Iberican, nato da una famiglia di mercanti del Sud. Come tutti in famiglia porto i tratti distintivi della mio popolo, con gli occhi scuri e i capelli castani. Sono piccolo di statura rispetto la gente alta del Nord, ma il nostro valore non è pari all’altezza e anzi, siamo dei guerrieri formidabili e di un certo valore. In tutte le guerre per il possesso del Grande Fiume la nostra gente si è distinta per coraggio e sprezzo del pericolo, riportando vittorie inaspettate , gloria e onore al nostro popolo.

Dalle nostre parti non abbiamo un signore feudale, non abbiamo un signore, non abbiamo un governo teocratico. Siamo gente pratica, che non crede all’occulto. Sappiamo che esiste la magia e la rispettiamo, ma sicuramente non crediamo alle panzane che ci propinano i predicatori sugli dei. Crediamo solo in quello che esiste. Siamo servi della ragione, della ricerca e della logica, la nostra filosofia porta l’individuo a saper ragionare con la propria testa e a non cedere agli eccessi della paura che la religione sa instillare.

Per questo non abbiamo mai avuto problemi con le altre razze, l’unica cosa che ci serve per convivere in armonia è sapere che la ragione pervade ogni cosa e che la tolleranza è alla base di tutto. I piantagrane nei nostri territori o vengono portati a calmarsi o vengono invitati ad andarsene, senza rancori o acredine.

Per regolare gli eccessi dell’essere umano, abbiamo sviluppato un sistema di meditazione, che porta la persona a convivere in armonia con il cosmo. La nostra scuola è rinomata, e riceve allievi da ogni villaggio della regione. Qui si impara a meditare, a trasformare il nostro corpo in solida pietra e agile canna, a portare all’estremo i nostri limiti, per compiere imprese che pochi altri esseri umani sarebbero capaci di compiere.

I nostri eserciti combattono senza armature, senza scudi e senza armi, privilegiamo degli agili spostamenti e degli attacchi a sorpresa con varie armi molto semplici, derivate dagli strumenti agricoli che tutti possiedono i casa. Non è raro che i nostri capi combattano a piedi nudi, mulinando braccia e gambe in una serie di colpi senza tregua.

Fui iniziato a questi studi come tutti i giovani del mio paese, con l’accordo di formarmi per cinque anni prima di avvicinare mio padre alla guida della bottega. Quindi diligentemente andai avanti a studiare, combattere, meditare, fino a raggiungere l’età matura, in cui avrei dovuto lasciare la scuola. Ma non volevo questo, il mio essere e il mio spirito erano legati allo stile quasi ascetico che lo stile monastico mi aveva insegnato. Volevo continuare ad approfondire i miei studi, a conoscere meglio il mondo. Volevo distinguermi dalla massa e dimostrare al mondo quello di cui ero capace. Ne parlai al mio superiore, il quale decise di appoggiare la mia richiesta.

Mio padre fu molto scontento, in quanto l’età cominciava a premere sul suo corpo e voleva che lo avvicinassi negli affari. Per fortuna avevo molti fratelli, e uno in particolare avrebbe potuto sostituirmi, in quanto era più giovane di me di appena un anno e a breve avrebbe terminato anche lui gli studi.

Fui inviato nel monastero centrale, fulcro dello stile monastico a cui ero legato. Parlai e mi confrontai con i grandi del mio ordine, sul mondo e sulle persone, sui popoli e sulle nazioni. Finalmente capii che il mondo doveva essere raddrizzato con l’esempio e non con la forza, con le parole e non con la spada. Dovevo fare qualcosa.

Decisi di partire, per poter fare di più per la razza umana. Partii, pieno di speranza, per poter portare al mondo la luce della ragione, per poter mostrare alle persone l’eccesso della religione. Il coraggio non mi mancava e nemmeno un certo ardore in battaglia. Quindi ero pronto: se le parole non sarebbero bastate, il mio pugno avrebbe colpito quelli che fanno della superstizione oggetto di paura e di costrizione, quelli che in nome di qualcosa che probabilmente non esiste fanno il male per il mondo.

Andai.